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Un fenomeno sempre più dilagante in questi ultimi anni: violenze, abusi, minacce che sono manifestazioni di aggressività verso se stessi o gli altri. Episodi che non risparmiano alcuna fascia d’età e alcuno strato sociale, con una percentuale elevatissima di giovani e adolescenti. E poi il pressante monito lanciato dall’OMS lo scorso giugno: indispensabile attivare interventi per invertire la rotta, prima di arrivare al punto di non ritorno. E come farlo? Attraverso il coordinamento multidisciplinare di più figure, dalle forze dell’Ordine alla scuola, dai comuni ai tribunali, dal mondo sanitario a quello del terzo settore. Tutti a lavorare in rete.
È partita da qui Cristina Mazzarolo per spiegare le ragioni che hanno spinto la Commissione Pari Opportunità dell’OMCeO Venezia – che lei coordina e che a più riprese negli anni si è occupata di violenza agita e subita, di genere, sui minori, sul personale sanitario e sui disabili – a organizzare per lo scorso martedì 13 dicembre il webinar formativo Condotte auto ed etero-lesive. Rischio sociale e strategie per il suo possibile contenimento, a cui hanno partecipato una sessantina di medici.
E un esempio concreto di questa violenza inaudita è arrivato proprio dal presidente dell’Ordine e vice nazionale Giovanni Leoni che, nei suoi saluti, si è rifatto all’attualità: il medico aggredito a colpi d’accetta, proprio quel giorno, nel parcheggio dell’ospedale a San Donato milanese, poi morto per le ferite riportate. «Un’esplosione di violenza incontrollabile – ha sottolineato amaramente – non so chi vada in giro con un’accetta in macchina… Questo il livello a cui siamo arrivati: sembra un film splatter, un film horror. E invece è la realtà».

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La serata formativa si è, dunque, aperta con la relazione dello psichiatra Franco Garonna, direttore della Clinica psichiatrica Villa Park Napoleon e docente di Psicofarmacologia all’Università Salesiana, che nel suo percorso ha approfondito il tema della diagnosi in psichiatria, del disturbo della personalità e delle devianze psichiatriche e psicopatologiche e della possibilità di cura.
«La psichiatria – ha spiegato subito – non va molto d’accordo con i dati. La medicina sì, ovviamente: un fenomeno, un’infezione o un tumore, può essere rappresentato in cifre e grafici. Ma quando parliamo di episodi violenti, anche gravissimi, non possiamo ridurli a un numero; devono essere osservati come un fatto compiuto da una persona».
Ispirato da un dipinto del 1871 di André Brouillet, che ritrae il noto neurologo dell’epoca Jean-Martin Charcot in una dimostrazione clinica a un gruppo di cattedratici, il docente ha sottolineato come la diagnosi in psichiatria non sia un’etichetta. «Noi sappiamo benissimo – ha aggiunto – cos’è una cirrosi epatica e la diagnosi vale per tutti i medici. In psichiatria, invece, le etichette saltano, non funzionano. Spesso i pazienti si presentano già con una diagnosi fatta, anche da loro stessi o da altri colleghi, e non si arriva a una diagnosi univoca».
Per arrivarci, allora, ci sono diverti tipi di approccio:

  • quello psichiatrico che individua categorie di sintomi e gradi (lievi, moderati e gravi);
  • quello più interpretativo della psicologia clinica che cerca di capire i processi che stanno dietro a un comportamento e di individuare i passaggi biografici, psicodinamici, interpersonali;
  • quello della psicopatologia, il più complesso e comprensivo, che considera un comportamento come la variante di un complesso umano psicobiologico.

Altro tema affrontato dal dottor Garonna la personalità sociopatica o antisociale. «La struttura del carattere – ha spiegato – è un fenomeno biopsicosociale: carattere, temperamento e personalità sono tre aspetti diversi dello stesso individuo, che vanno differenziati perché rientrano gli aspetti genetici, quelli legati allo sviluppo della personalità e quelli legati all’identità sociale che ha la persona nel mondo».
Lo psicopatico, ha sottolineato lo psichiatra, non è un malato in senso specifico, ma un infermo: «Un soggetto con personalità disarmonica e non adattata all’ambiente. Un uomo che soffre e fa soffrire, una sofferenza che va attenzionata dal punto di vista medico e può essere oggetto di un trattamento». Due le categorie in cui si differenziano gli psicopatici: gli psicopatici in senso stretto, «dotati di una struttura fondamentale abnorme, che si manifesta nella vita a ogni occasione e continuamente, e soggetti nei quali una situazione di vita inconsueta mette in evidenza una natura inconsueta perché provoca reazioni psicopatiche. Queste sono le situazioni più frequenti, quelle che ci allarmano di più».
Dopo aver accennato all’Adhd, alla sindrome di Apserger e all’autismo, il dottor Garonna si è soffermato sulla possibile cura, che deve tener conto di 3 aspetti fondamentali: l’influenza dei traumi, la forza delle loro pulsioni e l’alterazione dell’io.
«Ogni uomo o donna – ha concluso il docente, ispirato dal quadro La Vie di Picasso – non aspira all’amore, è un’illusione. Con gli atti che compie, siano essi sani o patologici, l’umano aspira a quel paradiso perduto, come quando si sta neonati nelle braccia della madre, di cui ha tanto bisogno, ma a cui non potrà più ritornare».

C’è un’esperienza più importante di un’altra per costruire il benessere o il malessere di una persona? È partito, invece, da questa domanda il professor Ernesto Gianoli, docente di Pedagogia e di Psicologia e direttore della Scuola di Psicoterapia dell’Università Salesiana per approfondire il tema a lui assegnato, la violenza nelle relazioni e le prospettive psicopedagogiche.
«Ricevere la risposta a un bisogno che si esprime – ha spiegato – è la chiave per stare bene, vivere bene, crescere bene. Dire a un bimbo “almeno assaggia” è una frase terribile e non risponde al bisogno del bambino di avere i suoi tempi per assaggiare o meno un certo cibo».
Bisogni che cambiano con l’età e che, se non trovano risposte, fanno attuare strategie per averle. «Il bambino, ad esempio – ha aggiunto il professore – cerca di compiacere l’adulto o usa la rabbia o sta male. Queste strategie diventano patologie quando provocano sofferenza a se stessi o agli altri, quando compromettono il rapporto con la realtà, quando sono pervasive o rigide, cioè non ammettono eccezioni».
In questa prospettiva la terapia diventa un agire ricostruttivo e consiste proprio nel dare finalmente risposta a quel bisogno che al momento giusto non ne aveva trovata. «Come educatori e clinici allora – ha concluso il professor Gianoli – dobbiamo cercare di capire se alla base di certi comportamenti ci sia qualche esperienza importante per la persona, in cui questa persona ha sentito ed espresso un bisogno, senza ricevere risposta».

Nell’ottica della strategia e del lavoro di rete, tanto cara alla CPO dell’Ordine, la parola è quindi passata a Giampaolo Palmieri, primo dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Venezia, che si è soffermato in particolare sulla violenza giovanile, sul fenomeno, dilagante, delle baby gang e sulle azioni preventive che le forze dell’Ordine possono mettere in campo.
«La Divisione Anticrimine delle questure – ha spiegato – si occupa proprio di analizzare i fatti delittuosi, valutare le conseguenze di natura ambientale, legate al contesto urbano, e le circostanze che hanno determinato certi reati. Infine di studiare ed elaborare strategie per evitare la recidiva del reato. Noi non condanniamo, ma esprimiamo provvedimenti come divieti, interdizioni, allontanamenti, ammonimenti in risposta a una determinata e specifica violenza».
Tra gli episodi concreti raccontati dal dottor Palmieri, quelli recenti sul litorale jesolano – violenze sessuali di gruppo, danneggiamenti ad auto e negozi, rapine anche a mano armata… – con protagonisti dei minori italiani e stranieri organizzati e provenienti da Padova. Il tutto filmato e conservato nei cellulari.
Ma ha parlato anche della nefasta influenza dei trapper – molti dei quali in galera – che inneggiano apertamente alla violenza e del ruolo dei genitori e della loro difficile gestione dei figli. «Con le misure di prevenzione – ha aggiunto il dirigente – noi cerchiamo anche e soprattutto di recuperare questi ragazzi, ad esempio spingendoli ad andare a scuola, per lanciare un messaggio alle famiglie e creare una trama collettiva per riparare a una situazione che sfugge ai genitori».
Uno sguardo, poi, anche agli abusi domestici per sottolineare l’importanza di un approccio condiviso, ad esempio, con le associazioni che si occupano di violenza in famiglia e uomini maltrattanti e un presupposto: questo tipo di violenza non è mai un fatto privato. «Uno degli errori più grandi – ha concluso il dottor Parlmieri – è non credere alle donne che denunciano abusi. Le donne non possono pensare che sia colpa loro e se noi non crediamo a quello che dicono, lo penseranno. Dall’inizio dell’anno c’è stato un femminicidio al mese: questa è una guerra e tutti i soggetti devono essere uniti. Dobbiamo intrecciare gli sforzi».

L’ultima parte della serata formativa è stata dedicata, infine, ad alcune esperienze sul territorio, protagonisti i professionisti sanitari:

  • il trattamento degli adolescenti da parte della sezione veneziana dell’Associazione Italiana Tutela della Salute Mentale, con Martina Siebezzi, componente del direttivo, che ha spiegato come «non si possa parlare di salute mentale senza parlare di salute» e come le problematiche di salute mentale non debbano escludere nessuno. «L’intera società deve essere coinvolta – ha detto – non dobbiamo tralasciare alcun segnale»;
  • in caso di violenza (lesioni personali, maltrattamenti domestici) l’obbligo di referto da parte del medico «che spesso è ritenuto un passaggio burocratico di cui, se possibile, liberarsi in fretta», come ha sottolineato l’avvocato Mariangela Semenzato, componente del Comitato Pari Opportunità del suo Ordine e consulente del Centro Antiviolenza del Comune di Venezia, che ha invitato tutti a fare rete e a riferire, segnalare anche solo verbalmente gli abusi;
  • la violenza usata per procurarsi sostanze stupefacenti – «Un soggetto che ne usa farebbe qualsiasi cosa per ottenerle» – o gli effetti dell’alcol tra le mura domestiche, che può essere un fattore scatenante o aggravante dell’aggressione, come ha spiegato Novella Ghezzo, tossicologa del SERD dell’Ulss 3 Serenissima e componente della CPO dell’Ordine;
  • la prevenzione di fenomeni di disagio psico-evolutivo che diventa possibile solo «coniugando insieme negli interventi gli aspetti psicopedagogici, psicoterapeutici e giuridici», come ha indicato la pediatra e medico legale Antonella Novello.

Conclusioni del webinar affidate alla Psicologa e Psicoterapeuta Monica Cielo, esperta in età evolutiva, che ha ribadito come sia «imprescindibile, davanti a queste problematiche, un lavoro sinergico: saper creare punti di riferimento qualificati, con un’identità precisa. Non si può fare una guerra da soli: siamo tutti consapevoli e tutti responsabili. Dobbiamo saper conoscere i segnali, quanto più precocemente possibile, gli strumenti di tutela e gli effetti degli interventi che mettiamo in campo. La violenza è un fenomeno che, purtroppo, ci appartiene: dobbiamo farci riconoscere, renderci visibili e essere competenti restando connessi tra noi».
Un tema di cui la CPO e l’Ordine continueranno ad occuparsi perché, come ha precisato la dottoressa Mazzarolo, questo webinar è solo il primo passo di un percorso molto più lungo e articolato.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia