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La carenza di medici che non è più un’emergenza, ma ormai una situazione cronica. La prevenzione, di conseguenza, sempre più difficile da attuare se mancano i camici bianchi negli ambulatori e in corsia. E le liste d’attesa che si allungano ormai in tante specialità. E ancora: una riorganizzazione seria e sempre più indispensabile e urgente delle cure territoriali, il ruolo che il privato, e le cooperative in particolare, può giocare nella sanità pubblica, l’appropriatezza delle prescrizioni con lo stop agli esami inutili, la responsabilità e l’aggiornamento professionale.
Del sempre più precario stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale si è parlato sabato 18 marzo nel convegno Elementi di responsabilità e problematiche nell’assistenza medica organizzato dall’OMCeO veneziano al Centro Cardinal Urbani di Zelarino, sotto la guida scientifica del presidente e vice FNOMCeO Giovanni Leoni.
Una mattinata di studi – presenti i rappresentanti di diverse discipline – per analizzare la fase di profondo cambiamento dell’assistenza sanitaria in Italia e la sua reale capacità di rispondere ai bisogni e alle esigenze di salute dei cittadini.
«Il convegno di oggi – ha spiegato il presidente Leoni accogliendo i partecipanti – parte dalla responsabilità professionale del medico. Ma, per fare una diagnosi, bisogna passare per gli esami strumentali che hanno ormai lunghe attese. La maggior parte dei nostri pazienti ha più di 60 anni, spesso è pluripatologica, tanti hanno l’invalidità civile… Persone con un reddito medio basso, che non hanno la possibilità di pagarsi da sole le prestazioni sanitarie. Ed è possibile subiscano un ritardo diagnostico non dovuto ai medici, ma a un sistema che penalizza l’offerta sanitaria del servizio pubblico. Oggi allora vogliamo approfondire le problematiche di riflesso a favore dei cittadini». Il presidente Leoni ha, poi, portato i saluti dell’assessore regionale alla Sanità Manuela Lanzarin, impossibilitata a partecipare al convegno.

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I saluti delle autorità
Tante le cause che hanno portato la sanità italiana sull’orlo del baratro, a partire da una programmazione sbagliata e dai continui tagli, di risorse e posti letto, subiti negli ultimi anni, oggi tornati purtroppo all’ordine del giorno. «In questo momento storico – ha sottolineato Giovanni Carretta, direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima che ha portato i saluti del direttore generale Edgardo Contato – dobbiamo prendere atto che c’è un problema vero e che, se lo si vuole davvero affrontare, bisogna alzare un po’ lo sguardo. Negli ultimi 10-15 anni sono stati fatti grossi errori a livello nazionale: bisogna cominciare a dare nomi e cognomi a queste responsabilità, spiegare come e perché si è arrivati a questo punto. Bisogna infine capire se ci sono alternative oggi percorribili e tirare fuori buone idee per sperare in un futuro migliore».
A fare le veci di Mauro Filippi, direttore generale dell’Ulss 4 Veneto Orientale, il direttore sanitario Francesca Ciraolo che ha sottolineato la grande attualità dei temi scelti per il convegno e l’importanza di avere tanti interlocutori di origine diversa ad approfondirli. «I direttori di struttura oggi – ha aggiunto – devono riuscire a gestire e conciliare diverse figure e diverse professionalità: i medici dipendenti, quelli con contratti a tempo, quelli delle cooperative, quelli in libera professione. Si configurano nuovi profili di responsabilità». Cose da fare al più presto, allora: ripensare i modelli organizzativi, potenziare la telemedicina e adottare strumenti contrattuali adeguati.
Un convegno, quello organizzato dall’Ordine, che «ci aiuta a fare il punto della situazione, a capire dove stiamo andando sull’assistenza medica» ha detto, invece, l’assessore comunale alla Coesione sociale Simone Venturini nel suo video di saluto. «Carenza di personale – ha spiegato – lunghezza delle liste d’attesa, che rischiano di compromettere il grande lavoro sulla prevenzione, errata programmazione, cure territoriali da rafforzare: ognuno di questi temi meriterebbe 3 o 4 convegni e una riflessione a livello nazionale».

Delineare il contesto
Il quadro d’insieme in cui i medici si ritrovano ogni giorno a lavorare è stato tracciato nella prima sessione del convegno, moderata da Silvano Zancaner, direttore della Medicina Legale dell’Ulss 3 Serenissima, e da Enrico Pedoja, presidente della Società Medico Legale del Triveneto.
Il primo tema ad essere affrontato è stato quello della responsabilità medica nel ritardo diagnostico, illustrato dall’avvocato Stefano Capo, consulente legale dell’Ordine che ha relazionato anche a nome del collega Giorgio Spadaro, assente per motivi di salute. «La responsabilità del medico – ha sottolineato subito – ha vari aspetti: quello morale, per violazione di norme etiche, quello amministrativo-disciplinare, per violazione di doveri d’ufficio o regole deontologiche, una responsabilità giuridica, per violazione di norme civili e penali, il tutto con un nesso di causalità, cioè il legame tra condotta ed evento».
Il legale ha poi passato in rassegna le leggi che regolano la responsabilità medica, dagli articoli del Codice Civile e Penale alla legge Balduzzi, nata anche per cercare di mettere un freno alla sempre più dilagante medicina difensiva, alla legge 24/2017, la Gelli Bianco, che rafforza il concetto, a tutela dei medici, di affidarsi al rispetto delle linee guida e delle buone pratiche.
«È sempre il medico – ha spiegato l’avvocato Capo – che, in forza della propria coscienza e professionalità, deve decidere sul caso concreto, al di là della linea guida. Una ritardata diagnosi può aggravare una lesione ma l’inerzia stessa medica può essere la causa della patologia. L’evento avverso, però, può verificarsi anche indipendentemente dal ritardo: di questo tengono conto alcune sentenze, lì dove non esiste una prova certo di nesso di causa».
Avere un rapporto empatico con i pazienti, stipulare una buona assicurazione e avere sempre cura di ottenere il consenso informato tra i consigli arrivati dal legale.

Tutta declinata sulla responsabilità professionale, ma con uno sguardo nuovo legato alla figura del mediatore e alla conciliazione, la relazione di Giuliano Nicolin, presidente della Commissione Albo Odontoiatri (CAO) veneziana.
«Gli Ordini – ha sottolineato – nascono a tutela dei cittadini, sorvegliando chi esercita la professione medica e odontoiatrica. Se vengono violate le norme contenute nel Codice deontologico, si avvia un procedimento disciplinare che può portare a sanzioni. Ma gli Ordini possono interporsi anche quando ci sono controversie, oggi in aumento, tra iscritti o tra iscritto e paziente».
Toni o reazioni esagerati e parole fuori luogo possono portare alla richiesta di una mediazione, «per questo nel 2021 – ha aggiunto – abbiamo istituito nella nostra CAO una commissione di conciliazione per cercare di risolvere questi contenziosi in tempi molto ridotti e abbassare il livello di conflittualità tra medico e paziente».
Per questo ruolo di intermediario, però, servono figure formate ad hoc, come i primi 100 mediatori odontoiatrici licenziati in un corso di media conciliazione, organizzato da ANDI, concluso da poco.
Un cenno, infine, anche alla revisione degli albi per i Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU) attraverso l’intesa tra Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense e FNOMCeO. «Il protocollo è corposo e ben definito – ha concluso il dottor Nicolin – e serve a fornire ai tribunali consulenti preparati, che diano pareri qualificati. Purtroppo in questo ambito c’è scarso turn over: servirebbero forze fresche».

Una ferita aperta e sanguinante nell’ambito dell’assistenza sanitaria è di sicuro quella della Medicina Generale che aspetta da un tempo ormai infinito una seria riforma. «In questa direzione – ha spiegato subito Maurizio Scassola, vicepresidente dell’Ordine, qui in veste di segretario di FIMMG Veneto – ci sono tre concetti importanti: l’evoluzione organizzativa, la protezione professionale e la qualità delle cure. Perché la qualità e la sicurezza delle cure sono strettamente correlate ai modelli organizzativi».
Le cure territoriali oggi sono prese d’assalto non solo dalle cooperative, ma anche «da società di servizi e finanziarie – ha aggiunto – che stanno stravolgendo completamente il quadro. Con questi capitali si acquisiscono farmacie, laboratori di analisi o polispecialistici: siamo di fronte a una drammatica velocizzazione di un processo di privatizzazione evidente».
In un quadro simile, è indispensabile, dunque, per i medici di famiglia crescere in capacità imprenditoriale, aggregarsi e proteggersi. «In Veneto oggi – ha sottolineato il dottor Scassola – il numero di assistiti dei medici di medicina generale è salito in media a 1.774, il numero di accessi è di 16mila all’anno, le zone carenti non vengono coperte nel 40-45% dei casi, il 20% dei giovani iscritti al corso triennale non lo finisce e un altro 20%, una volta finito, non fa il medico di famiglia e il 40% dei colleghi lavora ancora da solo».
La solitudine del medico, però, è un disvalore, un ostacolo allo sviluppo della professionalità e alla serenità del lavoro quotidiano: va combattuta con nuovi modelli organizzativi «come i team di assistenza primaria – ha concluso la guida della FIMMG – o le medicine di gruppo integrate, oggi ferme in Veneto al 23%. Le case di comunità possono essere lo standard per aree metropolitane ad alta densità, ma non per la nostra regione, ricca, dal Polesine alle montagne, di zone disperse e paesi isolati, aree a cui deve essere garantita la prossimità».

La responsabilità medica è uno degli argomenti fondamentali anche per il processo di revisione del Codice deontologico avviato dalla FNOMCeO, come ha sottolineato il presidente della Federazione nazionale Filippo Anelli in video collegamento. «Approfondite riflessioni – ha aggiunto – andranno fatte, ad esempio, sull’obbligo formativo fissato al 70% che, se non raggiunto, potrà far decadere la tutela assicurativa, con grave danno per il professionista. Il tema della responsabilità, però, si lega anche a quello dell’autonomia: il diritto di esercitare la professione così come previsto dal Codice Civile. Tantissimi, purtroppo, sono stati i tentativi di limitare l’autonomia professionale».

Non è mancata, al convegno organizzato dall’Ordine, la voce della Regione che per le criticità più forti, in particolare la carenza di medici, sta cercando di trovare soluzioni a 360 gradi, come ha spiegato Patrizia Bonesso, direttore delle relazioni sindacali, monitoraggio dotazioni, fabbisogni e costi nella direzione Risorse umane del Servizio Sanitario Regionale, che conta circa 70mila dipendenti, di cui quasi 9mila medici.
«La Regione negli ultimi anni – ha esordito – ha avviato con tutte le professioni sanitarie percorsi articolati di condivisione e di revisione dei modelli organizzativi per essere vicini alle esigenze di tutti e per ottimizzare le cure». La dipendenza, però, non può più essere vista in modo restrittivo e limitato, «lo sguardo – ha aggiunto – va allargato verso tutte le altre forme contrattuali che ci stanno aiutando a soddisfare i bisogni primari di salute e a erogare servizi sanitari». Primo sforzo da fare, secondo la funzionaria, valorizzare di più le risorse umane.
A pesare è soprattutto «la mancanza di specialisti – ha sottolineato la dottoressa Bonesso – in particolare nei reparti di anestesia e rianimazione e nei pronto soccorso, mancanza che durerà ancora 3 o 4 anni: per i pronto soccorso nel 2021 abbiamo messo a bando 129 posti e ne abbiamo coperti 11 con personale specialista e 8 con specializzandi».
Da non sottovalutare, poi, il fenomeno crescente delle dimissioni volontarie, che sguarnisce di personale le strutture pubbliche. «L’elevato tasso di turn over – ha aggiunto – tra specializzandi che poi se ne vanno, cooperative che garantiscono le ore non la persone e colleghi che lasciano in anticipo l’incarico crea destabilizzazione e non ci permette di proporre modelli organizzativi innovativi».
Va da sé, dunque, che per trovare medici si debba guardare altrove. «Ma il fenomeno cooperative – ha concluso la funzionaria – può essere governato dalla Regione solo fino a un certo punto. Non è facile per il servizio pubblico competere con il settore privato. La Regione, ad esempio, si sta impegnando per aumentare i compensi delle prestazioni aggiuntive per il recupero delle liste d’attesa, ma gli 80 euro restano pochi a fronte dei 100-120 pagati ai professionisti che operano nel privato. Bisogna incentivarle inserendole nei contratti, le Regioni non possono farcela da sole».

Tema quanto mai all’ordine del giorno quello della lunghezza delle liste d’attesa, su cui, però, gli stessi cittadini vanno educati, come sottolineato da Lorenzo Mattia Signori, segretario di CittadinanzAttiva Veneto, che prima ha elencato alcuni dei baluardi del Servizio Sanitario Nazionale – i principi di equità e universalità, il diritto del paziente di scegliersi le cure o di rifiutarle, l’obbligo del consenso informato – e poi ha passato in rassegna le patologie che più portano i cittadini negli ambulatori dei medici di famiglia, sottolineando l’aumento delle cronicità.
«I cittadini – ha aggiunto Signori – si lamentano per le lunghe liste d’attesa, ma non conoscono praticamente nulla delle priorità con cui vengono stilate. Per questo cerchiamo di spiegare loro, ad esempio, che non tutte le prestazioni sono soggette al vincolo della priorità, ma solo le prime visite. Spesso, poi, sono loro stessi a definirsi da soli la diagnosi, su internet, e a chiedere al medico l’esame strumentale. Cerchiamo anche di spiegare che visite di controllo e accertamenti successivi non possono rispondere alla fretta che ha un cittadino appena appare un sintomo o un desiderio terapeutico».
I pazienti, insomma, anche sulle liste d’attesa, vanno educati e CittadinanzAttiva lo fa attraverso un vademecum che distribuisce alla popolazione e che chiarisce tanti dei dubbi che sorgono.

Le altre criticità
Le difficoltà nei pronto soccorso, la possibile integrazione delle società e delle cooperative nell’assistenza, l’appropriatezza e la necessità dell’aggiornamento per i medici tra i temi affrontati nella seconda sessione del convegno, moderata da Maurizio Scassola e da Giovanni Leoni.
A raccontare quanto succede nei pronto soccorso, il presidente della sezione veneta della Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza Biagio Epifani, spiegando innanzitutto come il codice bianco non sia una prima diagnosi, ma solo uno strumento di primo approccio nel triage d’accesso per individuare subito il paziente grave. «In Veneto – ha aggiunto – la variabilità del tasso di accesso del codice bianco è tra il 44 e il 65%. Secondo ricerche nazionali non siamo messi male: si può di certo migliorare, ma stiamo andando bene». I dati sono di alto livello anche, ad esempio, per la visita fatta entro 4 ore dall’accesso.
«Delle 840 borse di studio messe a disposizione per l’emergenza-urgenza però – ha sottolineato il dottor Epifani – il 43% va deserto. Perché i colleghi abbandonano quest’area? Il problema non è solo economico: da una parte è una questione di disequilibrio tra vita professionale e personale, dall’altra c’è un’aggressività diffusa che impedisce all’operatore di lavorare sereno».
Seppur meno che in altre regioni, anche in Veneto il modello organizzativo è in affanno e allora qualcosa si è cercato di fare: migliorare il triage o introdurre il fast track per inviare direttamente il paziente alla visita specialistica, «tutte esperienze – ha detto però il relatore – che non portano a una soluzione strutturale del problema». Bisogna fare i conti con la perdita di motivazione, il bornout, la ricerca di modelli contrattuali meno vincolanti, l’insufficienza dei medici, la proliferazione di professionisti in affidamento esterno, il pesante carico delle attività amministrative e la remunerazione disallineata.
«Il modello organizzativo – ha concluso il dottor Epifani – va ripensato. La medicina d’urgenza resta una parte fondamentale della medicina pubblica, ma siamo obbligati a pensare qualcosa di diverso: quello che è necessario non più quello che è sufficiente».

Esternalizzazioni di servizi, appalti alle cooperative, medici a gettone sembrano essere negli ultimi tempi la causa di tutti i mali della sanità. Ma è davvero così? «Eccoci qua: noi spesso siamo additati dai media come i “cattivi” del sistema. E invece cerchiamo solo di contribuire a superare il momento di difficoltà e siamo i primi ad auspicare una regolamentazione del settore» ha esordito Matteo Zanella, medico anestesista per oltre un decennio operativo nel Suem di Treviso, oggi a capo di MST Group e direttore sanitario di Castel Monte Onlus.
La società che gestisce è uno dei principali fornitori di gettonisti per la sanità pubblica tra Veneto e Sardegna: 9 gli ospedali coperti nella nostra regione, 66 gli specialisti, quasi 6mila le ore al mese garantite, 8 i presidi sull’isola con più di 2.200 ore mensili coperte. Castel Monte, invece, è una realtà cooperativa impegnata in 13 presidi in Veneto, con un impiego di 6.100 ore al mese per i medici e di 12mila per gli infermieri, 5.200 ore per i soccorritori e 14mila per gli autisti.
«Oggi – ha spiegato – la Regione ha messo il tetto dei 100 euro per le gare d’appalto nei pronto soccorso. Ciò che non si sa è che in quei 100 euro non c’è solo il compenso del medico, ma anche la formazione, la gestione logistica, l’apparato amministrativo della società, i dispositivi di protezione individuale. Per cui al professionista vanno in tasca circa 70 euro, di cui la metà se ne va tra tasse e assicurazione».
Nonostante tutto, comunque, questo tipo di attività viene scelta sempre di più da chi si affaccia alla professione o da chi con la sanità pubblica si sente messo alle strette. «Questo perché – ha concluso il dottor Zanella – viene data priorità alla qualità della vita: si lavora10-15 giorni o notti al mese, cercando di favorire nuclei stabili e concentrando i turni del singolo medico nella stessa struttura per garantire la sicurezza dei pazienti e la serenità degli operatori. Lavoriamo per supportare la risposta a esigenze attuali, ma bisognerebbe andare un po’ oltre e pensare a quale sarà la sanità domani».

Altro tema da affrontare sulle liste d’attesa, quello dell’appropriatezza prescrittiva perché i tempi potrebbero essere di molto accorciati sfoltendo gli esami inutili. Di questo e dei codici RAO, che appunto stabiliscono la priorità delle prestazioni specialistiche ambulatoriali in base alla gravità del paziente, si è occupato il consigliere dell’Ordine Francesco Bortoluzzi, nella sua veste di coordinatore del Comitato Qualità delle Prestazioni Professionali Mediche di AIGO, l’Associazione Italiana Gastroenterologi ed endoscopisti digestivi Ospedalieri.
«Se siamo ancora qui a parlare di appropriatezza – ha esordito – significa che “Houston abbiamo un problema”. Dal punto di vista professionale per migliorare l’appropriatezza dobbiamo lavorare sull’evidenza scientifica». Sono due i tipi di appropriatezza da ricercare: quella prescrittiva, relativa strettamente all’atto medico, e quella organizzativa. La prima si traduce nel fare la cosa giusta, al momento giusto e per la durata giusta, la seconda nel fare la cosa giusta nel posto giusto e con il professionista giusto. E per farlo bisogna valutare con precisione il rapporto rischi-benefici e consumare un’adeguata quantità di risorse.
I troppi modi diversi per organizzare la stessa procedura, il rischio di disuguaglianze, il dilagare della medicina difensiva, le determinanti che influenzano la domanda e l’offerta in ambito sanitario, l’idea di una popolazione grande consumista sanitaria tra i temi affrontati dal dottor Bortoluzzi. «L’appropriatezza – ha aggiunto – significa anche ridurre l’impatto ambientale: meno esami inappropriati facciamo più miglioriamo la qualità dell’ambiente perché usiamo meno risorse. Noi, nella nostra postazione di endoscopia all’Angelo, produciamo 500 chili di rifiuti alla settimana, differenziati solo in parte».
Chiedersi se l’accertamento è davvero necessario, cosa si rischia senza farlo e se ci sono modi più semplici per farlo, le domande che dovrebbero sempre porsi medico e paziente. «Una delle vie possibili per migliorare l’appropriatezza – ha sottolineato il gastroenterologo – è la sinergia tra professionisti, la collaborazione, la presa in carico multidisciplinare».
Qualche chiarimento, infine, sui codici RAO, raggruppamenti di attesa omogenei. «Non parliamo in realtà di un algoritmo – ha concluso il dottor Bortoluzzi – ma di una griglia di criteri elaborata dalle società scientifiche. Purtroppo il sistema è rigido e rende difficile un problema già di per sé complesso. Non è un sistema perfetto, può essere discusso e migliorato, ma ci porta a riflettere sulla reale urgenza dei pazienti usando tutti la stessa lingua. Il confronto tra pari e la concordanza portano appropriatezza».

E sempre di appropriatezza e liste d’attesa, questa volta applicate alla radiologia, si è occupato il presidente della Fondazione Ars Medica Gabriele Gasparini, qui rappresentante della SIRM, la Società Italiana Radiologia Medica e Interventistica, la più grande società scientifica d’Europa con più di 11mila soci.
«Le liste d’attesa – ha chiarito subito – sono un pericolo per l’esigenza clinica: se procrastiniamo diagnosi e terapia compromettiamo la prognosi». Liste e tempi d’attesa, però, non sono sinonimi: le prime sono elenchi di persone che aspettano di essere trattate in modo adeguato, i tempi d’attesa invece, oltre a essere quelli in cui la persona sta sulla lista, sono quelli che una persona aspetta per avere una prestazione. «Non è detto – ha aggiunto il radiologo – che riducendo i tempi d’attesa si riducano anche le liste. Anzi: se una prestazione si ottiene più facilmente, probabilmente più persone la chiederanno. Per il paziente la lista d’attesa non è un problema: a lui interessa solo il tempo che aspetta».
In radiologia oggi si vivono un eccesso di domanda e un’offerta programmata insufficiente. ai radiologi, inoltre, viene chiesto di essere specialisti di un campo sempre più vasto che va dall’attività ambulatoriale a quella ospedaliera, dall’interventistica all’emergenza-urgenza.
Dopo aver passato in rassegna le risorse economiche che servono al comparto, i dati sugli esami fatti, le differenze, nei tempi d’attesa, tra pubblico e privato, la fuga dal Servizio Sanitario Nazionale anche da parte di questi professionisti e la gobba pensionistica ormai al suo apice il radiologo ha sottolineato come «anni fa scrivevamo che su 100 milioni di esami radiologi eseguiti in Italia, la metà era inappropriata. Un’analisi più recente dice che 8 milioni di esami non servono. Anzi: sono dannosi per le persone dato che parliamo di raggi X». E chissà se basterebbero questi 8 milioni di esami da non fare per ridurre le liste d’attesa.
Per sforbiciare questi elenchi, però, qualche soluzione possibile, sotto il profilo amministrativo e organizzativo, c’è:

  • pagare meglio il personale ed averne in numero sufficiente;
  • incrementare il fondo sanitario;
  • raffreddare la deriva medico-legale;
  • controllare la domanda;
  • formare davvero il personale;
  • rimuovere le anacronistiche incompatibilità che i radiologi hanno.

«Ma la cosa più importante – ha concluso il dottor Gasparini – è lavorare in équipe: il singolo in medicina oggi non fa più niente».

Conoscere tutte le novità sulle buone pratiche ed essere aggiornati sulle ultime linee guida è un buon metodo anche per non incappare in cause e contenziosi. L’aggiornamento professionale aiuta sotto il profilo della responsabilità, come ha spiegato, chiudendo i lavori del convegno, Roberto Monaco, presidente di OMCeO Siena e segretario della FNOMCeO, ma qui soprattutto nella sua funzione di guida del COGEAPS, il consorzio che riunisce le professioni sanitarie coinvolte nella formazione continua.
«La formazione – ha spiegato – è un momento importante e delicato del nostro lavoro, entra molto nella nostra etica professionale, fa parte del codice deontologico ed è un dovere nei confronti del cittadino». Negli ultimi trienni molto è cambiato se è vero che si è passati dai pochi professionisti certificati del 2014 all’80% di oggi tra medici e odontoiatri.
«Continuiamo a lavorare sulla riforma – ha aggiunto – con l’obiettivo di mantenere la dignità della professione: vogliamo che venga riconosciuta la formazione quotidiana del singolo professionista, il confronto con altri operatori, l’approccio multidisciplinare, le pubblicazioni che leggiamo o scriviamo... Già oggi, finalmente, i responsabili scientifici, i moderatori e i tutor di un convegno prendono crediti ECM».
Dal segretario FNOMCeO anche un riepilogo dei dati riguardanti gli eventi di formazione accreditati organizzati dagli Ordini, dagli 86 del 2020 ai 150 dei primi tre mesi del 2023, e le performances positive dell’OMCeO lagunare che nell’ultimo triennio fa segnare un +4% di professionisti certificati rispetto alla media nazionale.
«Non possono esistere – ha concluso il dottor Monaco – una sanità e una salute senza medico. E non può esistere un medico senza formazione. Il medico non ha solo un ruolo tecnico, ha anche e soprattutto un ruolo sociale, di difesa dei diritti. Un ruolo che non si improvvisa».

L’assistenza sanitaria in Italia, insomma, pare non essere affatto in buona salute. Bisogna prenderne atto. E se non si investe di più nella sanità – la conclusione alla fine della mattinata di studi – sono a rischio non solo la vita del paziente di turno e la fedina penale del medico, ma soprattutto la salute di ciascuno di noi.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia