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È molto cambiato negli ultimi anni il ruolo del medico nella società e ancora più rapidamente cambierà nell’immediato futuro con il rapido progresso della tecnologia che porterà a un uso sempre più massiccio dei nuovi strumenti, a partire dalla robotica e dall’intelligenza artificiale. Per restare, dunque, al passo coi tempi si è reso necessario un processo di riforma del Codice di Deontologia medica, quel corpus di regole con cui la professione si autodisciplina e a cui i camici bianchi devono adeguare la loro condotta lavorativa, la cui ultima revisione risaliva al 2014.
Un processo che – avviato dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) nel novembre 2022, aprendosi al confronto con giuristi, ricercatori, rappresentanti dei cittadini e giornalisti – ha fatto tappa anche a Venezia, sabato 20 maggio, con un convegno, molto partecipato, organizzato al Centro Culturale Don Orione Artigianelli, in centro storico alle Zattere, dal presidente dell’Ordine lagunare e vice nazionale Giovanni Leoni.
Tanti i big della sanità nazionale approdati in laguna per l’occasione, a partire dal presidente FNOMCeO Filippo Anelli, che ha aperto i lavori, ma anche il segretario Roberto Monaco, il segretario generale FIMMG Silvestro Scotti e il presidente nazionale CIMO FESMED Guido Quici (in collegamento video).
Quattro i gruppi di lavoro individuati dalla Consulta deontologica nazionale della FNOMCeO, coordinata da Pierantonio Muzzetto, insieme al Board interdisciplinare di Deontologia, dedicati ad altrettante aree di riforma del Codice: i diritti fondamentali, la comunicazione, le nuove tecnologie, la responsabilità associata all’autonomia e al rischio clinico.
«Il Codice Deontologico del 2014 – ha sottolineato il presidente Giovanni Leoni accogliendo i partecipanti – è stato fatto molto bene, ma è invecchiato precocemente, almeno per alcuni aspetti. L’evoluzione del nostro lavoro riguarda soprattutto la responsabilità professionale e il rapporto tra la norma e la realtà che vive ognuno di noi, in ospedale o sul territorio. Sentiamo spesso ripetere: la comunicazione è tempo di cura. Benissimo, siamo d’accordo. Poi però dobbiamo applicarla nella realtà dei fatti e in questo periodo storico è particolarmente difficile». Perché i medici sono sui giornali tutti i giorni per le lunghe liste d’attesa, per la carenza di personale, per le aggressioni contro gli operatori sanitari.

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Il sostegno delle istituzioni
Un convegno, questo sull’etica e la deontologia medica, che ha ricevuto il pieno sostegno di tante istituzioni, a partire dalla Regione Veneto, rappresentata dall’avvocato Francesca Scatto, consigliera e presidente della VI Commissione, che ha sottolineato come «il Codice deontologico sia un codice di condotta per i professionisti, un binario entro cui muoversi», ma come sia anche uno strumento di tutela per i cittadini, da rivedere necessariamente con il mutare delle esigenze della società. «Ma la medicina – ha aggiunto rifacendosi all’humanitas e alla pietas – si occupa della salute delle persone, si occupa dell’altro, della sua cura. L’unico obiettivo è il bene del paziente che, però, non deve mai dimenticare che il medico è prima di tutto un uomo».
Da sempre al fianco dell’Ordine lagunare anche il Comune di Venezia, con la presenza costante dell’assessore alla Programmazione sanitaria Simone Venturini, che ha spiegato come tutto ormai cambi velocemente «e sia necessario adeguare la bussola per navigare in questo mare, pieno di potenzialità ma anche di insidie. Sul piano etico e deontologico sono tantissimi e impegnativi i dossier da affrontare, ma bisogna mettere un’asticella, un limite: fino a dove possiamo spingerci nell’usare le nuove tecnologie? Al medico non si chiede di fare il medico, ma di essere medico: vi è richiesto un surplus perché avete un ruolo di responsabilità, di esempio e di guida. Ma anche noi, istituzioni e società, dobbiamo capire di cosa ha bisogno il Servizio Sanitario Nazionale, che si sta sgretolando, affinché la casa resti in piedi».
Sul palco del Centro Artigianelli anche i rappresentanti delle due aziende sanitarie veneziane: Giovanni Carretta, direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima, e Anna Urbani, direttore dell’Unità di Psichiatria dell’Ulss 4 Veneto Orientale. «Viviamo un momento di grande difficoltà – ha detto il dottor Carretta – per la carenza di personale, ma anche per la scarsità e l’inadeguatezza delle risorse. Il Codice Deontologico per noi è uno strumento in più: il suo aggiornamento, la “manutenzione” ci permettono di leggere gli eventi sotto la chiave giusta, dando la giusta interpretazione».
«La nostra professione – ha concluso la dottoressa Urbani – ha a che fare con la complessità della vita e con il fatto che noi da soli non bastiamo. Il convegno di oggi è interessante anche per questo: perché affronta il tema da diversi punti di vista. Lo sforzo deve essere quello di ascoltarci reciprocamente per trovare insieme le soluzioni migliori».

Anelli: perché cambiare il Codice Deontologico
Il Codice Deontologico, dunque, è il faro illuminante dei medici e degli odontoiatri: contiene le regole vincolanti per gli iscritti, ma anche quei doveri che i camici bianchi devono onorare, dal rispetto della vita e della dignità del malato alla perizia e alla diligenza nell’esercizio della professione.
«La professione non è più quella di una volta – ha spiegato subito il presidente FNOMCeO Filippo Anelli – e c’è un conflitto nel rapporto tra il medico e la società. L’idea di ripensare al ruolo del medico nella società è nata da un profondo disagio che la professione vive: non è solo un disagio organizzativo, che comunque incide molto, ma è anche una visione culturale di quello che la gente percepisce oggi del ruolo del medico».
Dopo aver ricordato come i codici siano nati dalla straordinaria sensibilità dei professionisti per regolare i rapporti tra di loro e con i cittadini e per vincolare le loro competenze e come la professione si sia persa nei meandri di una visione sempre più aziendalistica della gestione della salute, ritrovandosi in una medicina amministrata, il dottor Anelli ha indicato le due direttrici su cui si muoverà il Codice riformato: delineare il nuovo medico di domani, con i suoi doveri, ma anche quei diritti, oggi spesso calpestati, che gli permettono di lavorare in serenità e tutelare i propri assistiti, e l’importanza della comunicazione.
«Che cosa sarà domani il medico – si è chiesto – sarà un computer? Il medico non è solo colui che fa la diagnosi. Il medico è colui che deve interpretare i grandi dati, le sollecitazioni della tecnologia, ma al di là della tecnica il rapporto con il paziente, la decisione resterà in mano al medico. La comunicazione, dunque, è l’altro strumento fondamentale che il medico ha. Un medico capace di interpretare i diritti e di parlare con la gente. Ma l’attuale modello organizzativo impedisce al medico di pensare alla comunicazione come reale tempo di cura».
Dal presidente Anelli, infine, anche un accenno alle tante difficoltà che vive la professione, dai medici che abbandonano la sanità pubblica al fenomeno dei gettonisti, alle risorse stanziate dal PNRR. «Il Servizio Sanitario Nazionale – ha concluso – non può essere raffigurato con le strutture e le apparecchiature. Il Servizio Sanitario Nazionale è fatto di persone, di donne e uomini che lavorano tutti i giorni, che usano gli strumenti, ma quando questi strumenti non ci sono, come durante il Covid, sono loro i protagonisti e si inventano le terapie e l’assistenza. Il vero investimento va fatto sugli operatori».

Un nuovo Codice per affrontare le nuove sfide della medicina
Ricercatori, giuristi e magistrati sono stati i protagonisti della prima sessione del convegno veneziano, moderata da Enrico Pedoja, presidente della Società Medico Legale del Triveneto, e da Cristina Mazzarolo, medico legale dell’Ulss 3 Serenissima. Sessione che ha passato in rassegna le nuove sfide che la medicina è chiamata ad affrontare, la formazione dei professionisti tra norma e giurisprudenza e i fondamenti dell’etica, della bioetica e della deontologia.
A spiegare su che direttrici si sta muovendo il lavoro di riforma del Codice è stata chiamata Elisabetta Pulice, ricercatrice, ma soprattutto coordinatrice del Board interdisciplinare voluto dalla Federazione per la revisione del testo, che è partita da un sentenza della Corte Costituzionale per sottolineare il legame diretto tra deontologia medica e diritti fondamentali e che “pone la pratica terapeutica all’incrocio di due diritti fondamentali del paziente: quello a essere curato in modo efficace e quello a essere rispettato come persona”. Una sentenza che, però, riconosce anche al medico la piena autonomia e la responsabilità, “sempre con il consenso del paziente, di operare le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione”.
«Il Codice Deontologico – ha sottolineato – è uscito da una dimensione meramente interna alla categoria professionale: prende posizioni su un numero crescente di questioni anche giuridicamente complesse. Questa rilevanza del Codice è strettamente legata alla capacità della categoria professionale di farsi carico delle nuove esigenze di tutela e di farsene carico in sintonia con i principi costituzionali».
Le nuove sfide, allora, che il medico si trova ad affrontare non sono legate solo al progresso rapido della tecnologia, ma anche ai cambiamenti repentini che vive la società e al cambio di paradigma dell’attività medica stessa «che – ha spiegato la ricercatrice – non è più solo curare la malattia, ma prendersi cura della persona in un concetto più ampio di salute».
Se, dunque, la complessità si fa sempre più evidente, diventa fondamentale anche «definire le competenze esclusive del medico – ha detto la dottoressa Pulice – e le correlazioni con le altre professioni sanitarie». Nasce allora da questi ragionamenti l’idea della FNOMCeO di costituire un Board interdisciplinare per studiare la riforma, suddividendo i gruppi di lavoro per temi, con l’obiettivo di far dialogare i medici e gli esperti di diverse discipline e arrivare a luglio a un convegno con proposte concrete.

Tra gli argomenti trasversali ai vari gruppi di lavoro istituiti per la riforma del Codice c’è anche la formazione di cui al convegno si è occupata, Paola Frati, docente di Medicina Legale all’Università La Sapienza di Roma, che ha approfondito in particolare gli aspetti legati alla norma e alla giurisprudenza.
La docente si è chiesta innanzitutto cosa qualifichi un professionista rispetto a un normale lavoratore, identificando 4 elementi: il titolo di studio qualificato, l’abilitazione, l’iscrizione all’albo e, appunto, il codice deontologico. Elementi, però, che non bastano per mantenere la professionalità. «Sotto il profilo medico – ha aggiunto la professoressa Frati – il legislatore si è risvegliato da un lungo torpore con due leggi fondamentali: la 24, la Gelli-Bianco, e la 219 del 2017, sul consenso informato e le disposizioni di trattamento, che fa tesoro di molti elementi contenuti nel Codice Deontologico».
Queste due norme insistono, tra le altre cose, proprio sulla necessità di implementare le tematiche che riguardano la formazione in particolare per quanto riguarda il rischio clinico, in un’ottica di prevenzione, e alla conoscenza delle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida. «Articoli però – ha aggiunto l’esperta – che pur avendo un buon impianto non hanno avuto ricadute sostanziali nella pratica».
La professoressa Frati si è poi soffermata anche sui rapporti tra medici e magistratura, chiarendo le caratteristiche necessarie per il Consulente Tecnico d’Ufficio e i periti, punti di riferimento dei giudici nei contenziosi, e il protocollo d’intesa stilato nel 2018 tra la FNOMCeO, il CSM e Consiglio Nazionale Forense per armonizzare i criteri e le procedure di formazione degli albi dei CTU, che devono essere “accurati e prudenti nel seguire l’evoluzione del caso, preparati, impeccabili nelle diagnosi (anche differenziali) e aggiornati”.
Uno sguardo, infine, anche alla legge 219 «che – ha concluso la professoressa Frati – ha recepito tante novità già contenute nel Codice Deontologico, dal tempo di comunicazione come tempo di cura alle disposizioni anticipate di trattamento, che resta quindi la base più importante per la riflessione».

Dell’attualità dell’etica professionale e di bioetica ha parlato invece Vittorio Fineschi, anche lui docente di Medicina Legale all’ateneo romano La Sapienza, spiegando come i codici vadano riscritti «perché la deontologia è scienza non legislazione e deve recepire gli elementi promossi dalle nuove leggi. In molte norme la deontologia rimane come un convitato di pietra. La 219, ad esempio, è una buona legge: è l’esaltazione dell’autodeterminazione con termini giuridici precisi, ma al suo articolo 1, l’articolo unico sul consenso informato, presenta una dicotomia con stridori deontologici. Il medico, infatti, non può sottrarsi alla volontà del paziente di rifiutare il trattamento sanitario, ma non può neanche essere mero esecutore delle richieste dell’utente. Eppure ci sono commi che non prevedono l’obiezione di coscienza. Un passaggio fondamentale che nel nuovo Codice dovremo necessariamente affrontare».
Il professor Fineschi ha, dunque, definito il perimetro – medici e società – entro cui si deve muovere il testo riformato; tracciato una breve storia della deontologia, spiegato come essa si debba muovere oggi facendo riferimento alle norme giuridiche, al lavoro quotidiano e alle finalità di un’attività umana; indicato i nuovi diritti, come quello, appunto, all’autodeterminazione; sottolineato come «il Codice riformato sarà il più possibile aderente alla Costituzione. L’evolvere delle leggi – ha concluso il docente – crea dei cespugli di rovi operativi, in cui dobbiamo muoverci cercando di graffiarci il meno possibile e trovando equilibri difficili».

A chiudere la prima sessione del convegno è stato poi il magistrato Adelchi d’Ippolito che ha illustrato nel dettaglio i lavori e gli obiettivi della Commissione ministeriale sulla colpa professionale medica, che presiede, fortemente voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, per cercare di arginare le questioni giudiziarie che riguardano i camici bianchi, nella piena serenità del paziente, ma anche del medico nel suo lavoro quotidiano.
«Una commissione ristretta, composta da medici, medici legali, giuristi, ma aperta al contributo di tutti – ha spiegato subito – in cui, per prima, abbiamo voluto ascoltare proprio la FNOMCeO, che ci ha portato tutte le difficoltà, tutto il disagio della classe medica, prospettandoci anche delle soluzioni».
Togliere le preoccupazioni uno degli obiettivi della Commissione «perché – ha detto d’Ippolito – il medico preoccupato fa troppo o troppo poco, prescrive molti esami, che possono essere inutili, dannosi, invasivi e costosi, che tolgono spazio a chi le cure dovrebbe davvero farle».
Da una legge Balduzzi che, con l’inserimento del concetto di colpa lieve, era di maggior garanzia per il medico, ma si è rivelata molto fragile nella prassi, si è passati alla legge Gelli-Bianco con le linee guida e le buone pratiche a guidare il lavoro dei camici bianchi, ma che sul campo non registra grandi successi. «E allora – ha aggiunto – dobbiamo fare delle norme chiare e categoriche, che valgano alle stesso modo dalle Alpi a Palermo, per sottrarre al magistrato una possibilità di interpretazione che porta disparità di trattamento inaccettabili sul territorio».
Il ruolo e la figura dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU), da cui spesso dipendono gli esiti delle controversie, che devono essere indipendenti, il tema della lite temeraria, da limitare «perché non deve più accadere che si denunci un medico perché tanto non c’è nulla da perdere, denunce strumentali solo per avere dei soldi», l’azione civile che crea ferite profonde e dolorose, ma che dovrebbe essere sottoposta a un giudizio preventivo di ammissibilità, la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale, la richiesta agli avvocati di una maggior disciplina al loro interno, tra gli argomenti già affrontati dalla Commissione.
«Infine – ha concluso d’Ippolito – una riflessione attenta sarà rivolta alla questione dello scudo penale perché io credo che, per valutare la responsabilità del medico, non si può prescindere dalla situazione reale in cui ha operato, dal contesto, dalla disponibilità di strumenti che aveva. Come richiesto dalla FNOMCeO, ne discuteremo».

Dal Codice alla vita vera, sul territorio e in ospedale
Ma come si declina il Codice Deontologico nella realtà quotidiana di medici e odontoiatri, siano essi impegnati sul territorio o in ospedale? A questo tema è stata dedicata la seconda sessione del convegno, moderata da Maurizio Scassola, vicepresidente dell’Ordine e segretario di FIMMG Veneto, e da Pio Attanasi, segretario nazionale organizzativo del Settore Convenzioni SUMAI ASSOPROF e segretario della sezione veneziana del SUMAI.
La prima figura presa in considerazione è stata quella del medico di famiglia, con la necessità di una riorganizzazione vera delle cure primarie e con il 40% dei colleghi che in Veneto ancora lavora da solo, senza personale, come ha sottolineato il dottor Scassola presentando il segretario generale della FIMMG Silvestro Scotti, che ha subito chiesto di accendere un altro riflettore per la Medicina Generale, quello della responsabilità amministrativa «che – ha sottolineato – ricade totalmente sul medico di famiglia. Per noi la gestione del rischio clinico ha una serie di sfaccettature misconosciute ai più».
Sono due i riferimenti regolamentari principali per il medico di Medicina Generale: il contratto, da cui dipendono i compiti relativi sia alla struttura pubblica, sia al cittadino, e il Codice Deontologico. «Io non conosco un medico – ha aggiunto – che ha un paziente che sta male eppure timbra il cartellino e se ne va. Noi dobbiamo cominciare a distinguere le valutazioni amministrative da quelle professionali: fino a che mi rapporto con il Codice Deontologico sono un medico perfetto, il mio problema nasce quando metto la mia firma su una ricetta associando a un compito professionale un compito amministrativo». Perché il medico che non si assume dei rischi non può pensare di fare questa professione, meglio si dedichi a qualcos’altro. Ma la Corte dei Conti non si chiederà mai se dietro a un atto amministrativo, che deve verificare solo se una prestazione è appropriata, ci sia un atto professionale di garanzia; se ci sia stato un uso improprio, ad esempio rispetto a un farmaco, ma poi quel farmaco ha salvato una vita.

E in ospedale, invece, che cosa succede? Come si concilia la deontologia con la tempistica e la qualità delle cure? Il primo a raccontarlo è Andrea Zancanaro, consigliere nazionale di ANAAO ASSOMED, che è partito dai doveri e dalle competenze per garantire appropriatezza ed efficacia dell’atto medico, l’uso ottimale delle risorse e la sicurezza e l’umanizzazione del servizio sanitario.
Al centro del ragionamento in particolare il tanto dibattuto problema delle liste d’attesa. «I dati ci dicono – ha sottolineato ancora – che a causa delle liste d’attesa tanti rinunciano alle cure o ricorrono, se possono, al privato. Ci sono disuguaglianze non solo tra nord e sud ma anche tra aree urbane e rurali e tra uomini e donne».
Investire sul personale e in particolare sul personale specializzato, investire in strumentazioni e strutture, investire insomma in qualità, l’unica possibile soluzione ai tempi d’attesa infiniti per esami e prestazioni.
Un po’ più di ottimismo, invece, sul fronte del progresso tecnologico. «L’intelligenza artificiale – ha concluso il dottor Zancanaro – potrebbe migliorare il lavoro del medico perché concederà più tempo per la relazione umana, tempo di cura. Potrà sostituire il medico? Probabilmente no, perché ci sono ancora aspetti della professione che richiedono la presenza di un medico esperto e di un essere umano».

Ha richiamato, infine, le varie indagini fatte negli ultimi anni dal suo sindacato sulla vita professionale dei medici, sulle loro aspettative e sul futuro, sulla qualità del loro lavoro, il presidente di CIMO FESMED Guido Quici per spiegare come calare l’ideale deontologico nella realtà quotidiana di un medico dipendente. «Medici in difficoltà per i contenziosi – ha sottolineato – con 100 denunce al giorno, medici stressati da turni di lavoro massacranti e da ferie che restano sempre all’orizzonte, medici che non hanno sbocchi di carriera, medici senza tutele né gratificazioni, con retribuzioni più basse della media europea, la perdita del potere d’acquisto, i contratti che non vengono rinnovati».
Questo il quadro, ovvie le conseguenze: abbandono del servizio pubblico, a favore di un privato che consente un equilibrio tra vita professionale e personale, i tanti giovani che non vogliono lavorare nel SSN, il fenomeno dei gettonisti. «I medici – ha detto – sono in ostaggio: servono più autonomia e maggiore possibilità di gestire il proprio tempo. Bisogna ripartire dal Codice Deontologico su 4 pilastri: autonomia, appunto, libertà, indipendenza e responsabilità».
E come sarà il medico del futuro? Quale la sanità di domani? «I medici del futuro – ha concluso Quici – dovranno conoscere la medicina tradizionale e l’ingegneria biomedica, attraverso una visione che comprenda salute fisica, psicologica, benessere globale del paziente e le skill tecnologiche necessarie a impiegare al meglio il digitale nella relazione con gli assistiti». Un’ottica One Health, insomma, nell’approccio con il cittadino.

Il futuro con l’intelligenza artificiale
Non solo storia e radici, non solo attualità di legge e quotidianità di vita professionale: il convegno veneziano ha voluto dedicate ampio spazio – un’intera sessione moderata da Roberto Merenda, presidente della Società Triveneta di Chirurgia e direttore del Dipartimento Chirurgico e UOC Chirurgia Generale di Venezia, e da Giuliano Nicolin, presidente della CAO lagunare – al futuro, con un focus particolare sull’intelligenza artificiale.
Da questo punto di vista il primo a tracciare un quadro è stato Sergio Barbieri, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, che ha subito rassicurato tutti: «L’intelligenza artificiale – ha detto – al momento poi tanto intelligente non è: prende un’enorme quantità di dati e su questa base costruisce un’attività che sarà sempre settoriale. L’auto che si guida da sola, per capirsi, non potrà fare la pastasciutta, potrà sempre e solo guidarsi da sola. La macchina di sicuro opera decisioni più precise rispetto a un cervello umano, ma non può fare una scelta, quella la può fare solo un uomo».
Dopo aver tracciato una breve storia del sogno dell’intelligenza artificiale, nato negli anni Cinquanta, l’esperto – che si augura in futuro l’intelligenza artificiale possa davvero diventare intelligente e possa acquisire coscienza – si è soffermato sulla dimensione attuale e più diffusa dell’IA, ChatGPT, sottolineando come, anche in questo caso, «sembri intelligente, ma in realtà non lo sia: funziona su un trilione di parametri, mettendo insieme le parole una dopo l’altra». Tra i problemi già rilevati: la qualità delle risposte, che è proporzionale alla qualità delle domande, e la necessità di avere già una certa conoscenza del tema che si sottopone al chatbot, per distinguere le verità dalle “allucinazioni”, cioè le castronerie che scrive. «Il più grande problema etico – ha concluso il dottor Barbieri – è la trasparenza, soprattutto sul fronte della democrazia se queste tecnologie restano in mano a poche grandi aziende».

A Lorenzo Leogrande, responsabile dell’Unità di Valutazione delle tecnologie sanitarie al Policlinico Gemelli di Roma, invece, il compito di approfondire il tema delle prospettive in sanità dell’intelligenza artificiale, «che – ha detto – è già nelle nostre vite quotidiane, anche se forse non lo sappiamo, e di cui parliamo ora sempre più spesso perché adesso abbiamo un’enorme quantità di dati, i Big Data, difficile da gestire senza strumenti adatti a sintetizzarli. L’IA è uno strumento con cui dobbiamo necessariamente fare i conti».
Il dottor Leogrande ha prima sottolineato le differenze di logica informatica del machine learning, un sottoinsieme dell’IA, rispetto agli algoritmi classici – «nella programmazione normale, in 4-5 righe di codice diamo dati in ingresso e l’algoritmo elabora e restituisce dati in uscita. Nel machine learning, invece, io fornisco domande e risposte al sistema e lui tira fuori le regole» ha spiegato – per poi analizzare i campi di applicazione e di sviluppo importante dell’IA in sanità: dall’e-health alla telemedicina, dalla diagnostica alla ricerca, dalla gestione alla cura del paziente.
«La disponibilità di dati – ha concluso il dottor Leogrande – genera informazioni e apre tante opportunità sotto il profilo dell’analisi e dello studio, ma può anche essere di supporto alle decisioni e alle diagnosi o alle attività di gestione dell’ospedale, delle sue apparecchiature, delle sale operatorie. L’intelligenza artificiale non deve far paura: è uno strumento, con tante potenzialità, e come tale va governato».

«Queste nuove tecnologie le useremo solo se cambieranno la vita del paziente. L’intelligenza artificiale non sostituirà i medici, ma quei colleghi che non la sapranno usare saranno sostituiti da chi sa usarla». Va dritto al punto Riccardo Ferrari, Radiodiagnostica Emergenza Urgenza del San Camillo Forlanini di Roma, nell’ultima relazione del convegno, dedicata all’impatto dell’IA sul percorso clinico-diagnostico e sul rapporto con il paziente. «Perché il medico – ha aggiunto – farà la differenza in quei pazienti che non rientrano nella media, difficili da inquadrare. Questi sistemi andranno bene per le diagnosi banali, ripetitive. Ma noi facciamo tutt’altro, facciamo medicina...». Che tradotto significa: tematiche etiche o medico legali, comunicazione ed empatia, considerazioni cliniche ed anamnestiche.
Ed è proprio la radiologia a fare da pioniere in questi anni per l’intelligenza artificiale in medicina perché i radiologi lavorano nell’ambiente più digitalizzato della professione. Una digitalizzazione che, grazie ai fondi in arrivo dal PNRR, andrà nella direzione del Fascicolo Sanitario Elettronico, finalmente disponibile per tutti, e della semplificazione degli aspetti burocratici.
Il dottor Ferrari si è quindi soffermato sul concetto di medicina aumentata, in cui grazie all’IA saranno semplificate le azioni ripetitive e mnemoniche della professione, «lasciando però la possibilità – ha detto – di guardare bene la realtà medica dei pazienti, spesso molto complessa», per dedicarsi poi a una questione cruciale che oggi si comincia ad approfondire: quando le macchine faranno la maggior parte del lavoro, di chi sarà poi la responsabilità?
«Il sistema intelligente – ha sottolineato – potrebbe anche sbagliare e dalla decisione potrebbe derivare un danno. Pensate alla macchina a guida autonoma: tutto si è fermato quando i produttori dovevano dirle se, in caso di guasto ai freni, dovesse uccidere i pedoni in strada o chi stava nell’abitacolo… Una scelta a cui non si sa rispondere».
Altro esempio il dilemma del carrello, esperimento mentale di filosofia etica formulato nel 1967, con il conducente di un tram, capace solo di cambiare rotaia, senza la possibilità di frenare, che si ritrova davanti a una scelta: tenere la rotta e uccidere cinque persone, impossibilitate a muoversi, o azionare lo scambio e ucciderne una sola. Cosa è etico fare? «Il lavoro che noi facciamo si scontra tutti i giorni con questi dilemmi che sarà difficilissimo insegnare alle macchine. Oggi – ha concluso citando Stephen Hawking – ci si preoccupa delle macchine che si umanizzano, ma il vero problema oggi sono i medici che sono diventati delle macchine».

Al rischio clinico da una parte e alla qualità e sicurezza delle cure dall’altra sono dedicate le conclusioni del convegno, tirate da Roberto Monaco, segretario della FNOMCeO. «Si dà alla popolazione – ha spiegato – un falso senso di sicurezza, “non succederà più perché ho trovato il colpevole”, con un approccio personalistico del rischio clinico. Mentre il più delle volte l’approccio deve essere di tipo sistemico: non indagare la persona, ma l’organizzazione. Per risolvere il problema serve il contesto. Quello che oggi abbiamo imparato è che la formazione culturale è fondamentale, non soltanto per i professionisti, ma anche per chi ci deve governare». Perché la professione medica è e resterà eticamente una delle professioni sociali più importanti, ma la riforma del Codice Deontologico non basta: per restare al passo con i tempi serve anche una nuova organizzazione.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia