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Le immagini spiegano molto più delle parole: volti – tanti, tantissimi – di bambini, bambine, ragazzi e ragazze completamente deformati, stravolti da una patologia considerata rara nei Paesi più sviluppati, ma molto comune invece in quelli più poveri: i tumori fibro-ossei odontogeni. Scatti che raccontano una realtà fatta di miseria, in cui la salute è un optional, in cui non si raccolgono dati sistemici, in cui le cure – quando ci sono – sono scarse e diseguali, in cui la prevenzione è sconosciuta, in cui ci si scontra con i tabù tribali e culturali e la corruzione affossa anche la solidarietà.
Una realtà che è stata illustrata nel dettaglio dal dottor Marco de Feo, odontoiatra romano, chirurgo orale e volontario in Africa, in un convegno che si è svolto lo scorso 27 maggio nella sede dell’OMCeO veneziano, organizzato per la Commissione Giovani da Andrea Zornetta. «Un convegno su un argomento unico – ha sottolineato il presidente della CAO lagunare Giuliano Nicolin nei suoi saluti in videocollegamento – e molto interessante perché, al di là degli aspetti medici, ci spingerà a riflessioni importanti».
«La chirurgia maxillo-facciale – ha aggiunto poi il presidente dell’Ordine e vice nazionale Giovanni Leoni – è una branca demolitiva, pesante, molto tecnica. Chi, come il nostro relatore di oggi, trova il tempo di fare il volontario nei Paesi in via di sviluppo è degno della massima attenzione e riconoscimento perché interpreta in modo perfetto il Codice di Deontologia medica. Il tema di oggi, la possibile correlazione tra infezioni e tumori del cavo orale, è estremamente originale».
«Questo è un argomento – ha spiegato infine il dottor Zornetta introducendo l’ospite – che si discosta da quelli di solito trattati all’Ordine, per cui ci vuole una grande sensibilità».

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Il dottor de Feo ha così cominciato a raccontare come dal 1985 ormai lavori due mesi l’anno nei Paesi sottosviluppati, in particolare in un ospedale missionario in Uganda, al confine con il Sud Sudan e il Congo, « dove negli ultimi anni – ha detto – ho cominciato a vedere bambini e giovani adulti con volti mostruosamente deformati». Una situazione che lo ha spinto ad avviare una ricerca – che ovviamente non ha condotto da solo ma in collaborazione con la professoressa Silvia D’Agostino, dell’Istituto per la cura dei tumori Regina Elena di Roma, e con il professor Steve Ahuka dell’Università di Kinshasa – condotta in vari stati del mondo per cercare di capire l’origine di una diffusione così ampia di questi tumori.
«La famiglia dei tumori fibro-ossei odontogeni – ha spiegato poi – comprende i fibromi ossificanti, gli ameloblastomi, la displasia fibrosa e il fibromixoma odontogeno. Tutti tumori simili, la cui eziologia è sconosciuta e che sono estremamente rari nei Paesi del Nord del mondo, ma molto diffusi in quelli in via di sviluppo, non solo in Africa equatoriale, ma anche India, Vietnam, Filippine, Brasile».
Difficile capirci qualcosa perché nei Paesi più poveri, in Africa ad esempio, non esistono dati epidemiologici, che non vengono registrati, e i pochi dati a disposizione si riferiscono in realtà ai Paesi del primo mondo. Drammatiche le conseguenze: per questi tumori, che recidivano in continuazione, fino ad anche 6-7 volte, l’unica terapia è l’intervento chirurgico, la resezione, che lascia visi deformi condannando i pazienti all’isolamento. «Gli ospedali – ha sottolineato il relatore – sono pochi e lontani dai villaggi, così i pazienti sottovalutano i sintomi, prima si rivolgono agli “stregoni” della tribù, poi raggiungono le strutture sanitarie quando le deformità facciali sono gravemente progredite».
Volti, quelli mostrati dal dottor de Feo, a cui associa storie cliniche pesantissime, fatte di interventi ripetuti e di vergogna. Ma i dati parlano chiaro, questi tumori non sono affatto rari: nel Nord Uganda, al Saint Mary’s Hospital Lacor, nel 2022, nonostante le restrizioni ai viaggi per il Covid, sono stati eseguiti 41 interventi su tumori fibro-ossei – 17 ameloblastoma, 16 fibroma ossificante, 8 displasia fibrosa – con il paziente più piccolo che aveva appena 6 mesi, mentre nell’ospedale Universitario di Kampala si operano circa 200 tumori fibro-ossei l’anno.
Decisi a scoprire le cause di queste patologie, il dottor de Feo e i suoi collaboratori cominciano a studiare la letteratura, in realtà lacunosa e piena di inesattezze, la possibile eziologia (tumori causati da irritazione? Sepsi? Traumi? Deficit alimentari? Virus?) e a lavorare sul campo, indagando ad esempio l’inquinamento dell’acqua, le batterie dei cellulari seppellite ovunque, le bombe… «Ma – racconta ancora l’odontoiatra romano – non ne venivo fuori. Per me è stato come camminare su Marte. Non c’era nulla, non avevo letteratura seria, non avevo dati. Ma ho cominciato a capire tante cose: che questi tumori non sono affatto rari, che hanno una crescita illimitata, che non sono solo odontogeni, che non colpiscono solo le popolazioni di pelle nera, ma più in generale quelle povere, che non c’è predilezione di sesso, che hanno un’alta recidiva».

L’ispirazione per una svolta nella ricerca arriva inaspettata da un articolo veterinario sul caso di un boa constrictor, ammalato di un tumore molto simile che, una volta asportato e esaminato, rivela un arenavirus, che di solito si prende dai topi. Si fa strada l’ipotesi che anche i tumori negli umani possano essere provocati da questo tipo di virus e si cominciano a cercare le prove, tanto più che topi, pipistrelli e serpenti, a causa della miseria, rientrano nella normale dieta di queste popolazioni.
Mentre a Kinshasa si riesce ad istituire un protocollo di ricerca, iniziano le indagini sul campo scoprendo – e mostrando ai partecipanti del convegno immagini eloquenti – che uomini e donne vengono spesso morsi dati topi, che bevono e cucinano acqua facilmente contaminata, che cacciano la carne di ratto, soprattutto i bambini, perché la considerano particolarmente prelibata, perché ricca di proteine e a costo zero, e che i topi vengono consumati in molti modi diversi: crudi o cotti, essiccati ed affumicati al sole, bolliti, fritti o grigliati.
Si ipotizzano anche le possibilità di contagio: con la masticazione, ad esempio, e il passaggio di patogeni attraverso le ferite della mucosa orale; o il cibo morso dai ratti e la frutta dai pipistrelli; attraverso l’acqua contaminata o il contatto con le feci e le urine, che vengono anche sciolte nei cibi a uso terapeutico; o ancora con il passaggio del virus nel latte materno e, attraverso la placenta, nel sangue e nel sistema linfatico. L’inattivazione, infatti, si ottiene solo utilizzando un detergente ad alto potere cationico e facendo bollire per lungo tempo a 120-150° C.
«A questo punto – racconta il dottor de Feo – ho finanziato attraverso donazioni uno studio pilota su 34 campioni biologici di osso e gengive tumorali da 9 pazienti: 24 sono risultati positivi per il Lassa virus (arenavirus) con titolo virale alto, 2 campioni apparentemente sani di controllo sono risultati positivi, 3 negativi e 5 invalidati. Ma, trattandosi di un virus emorragico, come spiegarsi il tumore? Con lo spillover». In sostanza la mutazione del genotipo, ancora sconosciuto, attraverso il passaggio dall’animale serbatoio all’uomo.
Un virus, dunque, a RNA, di tipo 4, cioè a rischio collettivo e individuale elevato, che elude il sistema immunitario e comincia a stressare le cellule, che si sposta nel sistema linfatico e nel sangue, che facilmente infetta l’osso e che va in latenza, per questo sono frequenti le recidive.
Campioni e dati, quelli citati dal dottor de Feo, ovviamente ancora troppo scarsi per dimostrare scientificamente la correlazione tra virus e tumore. «Ho parlato di ipotesi – ha sottolineato chiudendo questa parte del convegno – non di certezze. Il prossimo passo è fare la sequenza genomica, cioè trovare il genotipo di questo virus e dargli un nome, e fare dei test anche su sangue, urina e saliva. Di lavoro da fare ce n’è ancora molto».
Soprattutto in Paesi in cui la resezione è l’unica terapia e non si fanno esami istologici per capire l’origine dei tumori, in cui i tumori vanno di pari passo con la fame e la mancanza di igiene e milioni di persone sono escluse dalla medicina e dalla scienza. Paesi in cui, insomma, da combattere sono soprattutto le malattie della povertà.

Di ispirazione più clinica la seconda parte della mattinata di aggiornamento, sempre protagonista il dottor Marco de Feo, che ha affrontato e approfondito anche altri due temi, l’anatomia dissettiva e chirurgica del cavo orale e i tumori del cavo orale.
Il nervo mascellare e la sua struttura, i rischi chirurgici e le lesioni, le arterie e i rischi correlati, l’epidemiologia in Italia del carcinoma orale – «l’incidenza media è di 8,44 casi l’anno ogni 100mila abitanti negli uomini e 2,2 nuovi casi l’anno nelle donne. In tutto circa 5mila nuovi casi ogni anno» ha detto – le sedi più colpite, lo sviluppo del tumore e i fattori di rischio. Ma anche i tumori della lingua, quelli nel pavimento del cavo orale, il cancro gengivale, il tumore del palato, delle mucose e quelli della testa e del collo i temi illustrati dall’odontoiatra in una panoramica davvero a 360 gradi delle patologie più gravi che si manifestano nel cavo orale.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia