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Cercare sempre di salvare il dente, se possibile, «perché noi al dente ci crediamo». Questa l’indicazione più importante arrivata ai numerosi e attenti odontoiatri che sabato 6 aprile 2024 hanno partecipato al convegno Preservazione vs rigenerazione. Quando e come intervenire. Tecniche a confronto, organizzato da Andrea Zornetta per la Commissione Giovani dell’OMCeO Venezia nella Sala Caterina Boscolo dell’Ordine.
Una mattinata di formazione squisitamente clinica, guidata dagli esperti Diego Longhin e Luca Donolato, per parlare di rigenerazione ossea e di implantologia, ma anche per fare chiarezza sui tempi e sui modi di applicazione delle diverse tecniche di preservazione alveolare da mettere in campo subito dopo aver estratto uno o più elementi.
Ad aprire i lavori i saluti via video del presidente dell’Ordine e vice nazionale Giovanni Leoni, assente per motivi istituzionali, e il presidente della CAO lagunare Giuliano Nicolin, che ha lodato la Commissione Giovani, guidata proprio dal dottor Donolato, per le tante attività che sempre organizza e propone agli iscritti.

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Dopo i saluti istituzionali il convegno è entrato subito nel vivo della materia da approfondire con Diego Longhin, che si occupa prettamente di parodontologia, implantologia e protesi, che è partito dalla perimplantite, malattia molto diffusa che i dentisti vedono spesso e che causa la progressiva perdita della struttura ossea attorno agli impianti dentali, e dall’anatomia dei difetti parodontali, legati anche alla genetica e di cui si possono trattare solo gli esiti, sottolineando come sia necessario, in caso soffrano di questa patologia, cercare di far cambiare ai pazienti i loro stili di vita.
«La terapia chirurgica – ha spiegato il dottor Longhin – si applica quando abbiamo profondità di sondaggio maggiore ai 5 millimetri, quando c’è sanguinamento o quando ci sono forcazioni che, in base al grado, aumentano il rischio di perdita del dente. Dalla parodontite non si può guarire, il paziente resterà sempre predisposto, ma gli studi ci dicono una cosa importante: se noi eliminiamo tutte le infiammazioni, il tessuto parodontale di sostegno si comporta esattamente come in un paziente sano».
Tra restrizione dei tessuti, tasche e forcazioni, dove si possono accumulare i batteri, possibili lembi d’accesso o terapie resettive – che il dottor Longhin non ama e pratica poco... – e difetti a 2 o 3 pareti da riparare, quando la situazione è più grave e ci si trova un osso mancante la domanda più importante da farsi è: vale la pena o no provare a recuperarlo? «Molte volte – ha aggiunto l’esperto citando anche tanta letteratura scientifica – si riesce a ottenere un buon risultato che ci dà enorme soddisfazione. Per avere risultati positivi dalla rigenerazione (GTR) e duraturi nel tempo bisogna avere almeno metà dell’osso del paziente». E su un osso rigenerato – così dicono gli studi, riferendo però follow up a un solo anno – gli impianti funzionano esattamente con su un osso nativo.
Tra i temi passati in rassegna dal dottor Longhin:

  • i problemi sulle forcazioni, su cui c’è poco da fare e dove si crea un’anatomia completamente diversa;
  • l’inclusione ortodontica;
  • la difficoltà di definire la durata di un impianto;
  • i risultati migliori che si possono ottenere se si associano tecniche rigenerative e ortodonzia: «l’unione di forze è straordinario» ha detto il relatore;
  • l’osteointegrazione degli impianti;
  • i tipi di membrane o le griglie di titanio da usare e le complicanze derivate dalle membrane esposte.

La seconda parte della mattinata di formazione è stata poi dedicata alla socket preservation con la tecnica socket shield – «che io non ho mai fatto perché mi spaventa l’idea di lasciare un frammento di radice, ma che ci dice: non togliamo completamente il dente, ma tagliamolo, per cercare di mantenere i volumi» ha spiegato il dottor Longhin – l’inibizione periostale per preservare l’alveolo dopo l’estrazione del dente con inserimento di membrana corticale e impianti contestuali, e la rigenerazione dell’alveolo, attraverso sostituti ossei e prelievi da sedi intraorali.
«L’uso della dentina – ha aggiunto l’esperto – è molto interessante. Se la usiamo parzialmente demineralizzata, cioè tolta tutta la parte inorganica, a 2 mesi di distanza abbiamo il 31% di osso in più». Dato, poi, che le proteine si mantengono per sempre nel dente, si possono mettere via, ad esempio, quelli del giudizio, che spesso si tolgono, per usarli in caso di terapia rigenerativa. Il dottor Longhin ha quindi spiegato come triturare i denti nel modo corretto, come demineralizzare e detossificare la dentina, la qualità dei particolati che si ottengono, le possibili cariche batteriche.

Ultima parte del convegno dedicata, infine, ad alcuni casi clinici di preservazione, presentati con l’ausilio di tante radiografie da Luca Donolato che ha sottolineato la scelta di organizzare il proprio lavoro «solo con tecniche semplici perché la chirurgia mi dà sempre un po’ di stress e di preoccupazione. Guarirà? Guarirà bene?» e che, a sua volta, ha precisato: «Anch’io con la dentina finora non ho avuto insuccessi. La tecnica funziona bene».
Tra gli esempi presentati ai partecipanti la scarsità di dentina presente in un dente devitalizzato, la necessità di creare i presupposti per far maturare il tessuto lì dove manca, l’utilizzo delle DIMA chirurgica per ottenere un corretto posizionamento implantare, la necessità di trattare bene il dente e di mantenere lo smalto, il tipo di frese da utilizzare, gli ottimi risultati ottenuti dopo un anno di attesa, 2 sedute chirurgiche e 4 protesiche per risolvere un pesante trauma sportivo, la possibilità di usare gli stessi denti da latte per la rigenerazione o anche un dente tolto 20 anni prima, se è stato conservato.
«Per raggiungere questi obiettivi – hanno concluso i relatori prima della discussione finale – dobbiamo pensare di mantenere il tessuto che c’è e di cercare di rigenerarlo se manca. La posizione dell’impianto, che già sappiamo influisce tanto sull’estetica, influisce anche sulla biologia, quindi il successo implantare è quando cerco di avere le stesse parabole gengivali che ho attorno all’elemento naturale. Attenzione, infine, alla posizione implantare: se non c’è il dente, è ovvio che l’osso sia sottile e quindi bisogna pensare a rigenerare. Noi al dente ci crediamo. Poi, certo, è questione di scelte, ma le tecniche funzionano. I risultati ci sono».

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia