Un momento di incontro per ricordare una figura storica e un’eccellenza della medicina veneziana, Franco Basaglia, che con la Legge 180 ha rivoluzionato il mondo della psichiatria italiana. Ma anche un momento importante di formazione per fare il punto sulle psicosi moderne, dalla paranoia al disturbo bipolare alla schizofrenia, con un focus particolare sui sempre più diffusi e complessi disturbi di ansia nei giovani, usciti molto provati dalla pandemia.
Questi gli obiettivi del convegno Elementi di Psichiatria a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia, organizzato per l’Ordine sabato scorso, 15 giugno 2024, dal presidente dell’OMCeO veneziano e vice nazionale Giovanni Leoni che ha accolto i partecipanti ricordando Basaglia come «un illustre veneziano che ha rivoluzionato in Italia il trattamento dei pazienti psichiatrici e che ha avuto la capacità non solo di avere un’idea ma anche di realizzarla. Patologie, quelle psichiatriche, che spesso non vengono trattate adeguatamente, che hanno scarsa considerazione anche a livello nazionale e che sono fanalino di coda per quanto riguarda gli investimenti».
Nei suoi saluti il presidente Leoni ha voluto anche ricordare due colleghe psichiatre Paola Labriola e Barbara Capovani, colpite a morte dai loro pazienti rispettivamente a Bari nel 2013 e a Pisa l’anno scorso, facendo un cenno al tema della sicurezza sul lavoro degli operatori sanitari. «La malattia mentale – aggiunge – è diversa: noi siamo abituati a problemi di tipo anatomico, a esami strumentali… Ma qui si parla di dialogo e ascolto. E a ognuno di noi può capitare un paziente che abbia un momento di squilibrio».
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Tutta dedicata alla figura di Franco Basaglia e alle sue idee rivoluzionarie, sfociate poi nella Legge 180 che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia, la prima parte della mattinata con il sentito ed esaustivo ritratto tracciato da Moreno De Rossi, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ulss 3 Serenissima, che è partito dalla vita e dal pensiero dell’illustre medico veneziano per poi approfondire il contesto normativo e l’organizzazione della salute mentale nel nostro paese prima del 1978 e gli effetti provocati dalla Legge 180. «Una legge – sottolinea – davvero unica al mondo. La sua figura è stata, certo, determinante e fondamentale. Ma la carriera di Franco Basaglia è stata subito difficile perché le sue teorie erano considerate troppo rivoluzionarie, poco ortodosse».
Nato a Venezia nel 1924 da una famiglia benestante, Franco Basaglia studia medicina a Padova: nel 1953 si specializza in malattie nervose e mentali presso la clinica neuropsichiatrica e si sposa con Franca Ongaro, compagna di vita ma anche di lavoro e di pensiero.
Nel 1961 la sua esistenza cambia, era allora docente universitario, quando diventa direttore del manicomio di Gorizia «in quel contesto – dice il relatore – era per lui una sorta di declassamento. E lui stesso descrive quella vita come “la discesa agli inferi”». È il primo impatto con una realtà di custodia, molto retrograda, fatta di contenzione e metodi coercitivi: una realtà in cui, di fatto, il paziente perde ogni forma di identità, i suoi oggetti, i contatti con i familiari.
Un processo di depersonalizzazione che Basaglia cerca fin da subito di modificare radicalmente, anche grazie ad alcuni viaggi in Inghilterra per visitare le nascenti comunità terapeutiche. Comincia a trasformare i vari padiglioni – quello dei sudici, quello degli agitati... – in contesti di tipo comunitario per riportare umanità, «ma si rende anche conto di un’ipocrisia di fondo: il problema della psichiatria è il problema della libertà e della tutela».
Tra la vita degli internati a Gorizia e i viaggi all’estero per studiare esperienze diverse, Basaglia nel 1964 comincia a dare forma al suo pensiero cardine: per curare le persone, bisogna chiudere i manicomi. La vera cura è a casa, nel luogo reale di vita.
Tra le tappe fondamentali del suo percorso la pubblicazione nel 1968 del testo L’istituzione negata, che riscuote molto successo nell’opinione pubblica e nel mondo politico e culturale, l’omicidio a Gorizia della moglie da parte di un paziente da lui mandato in permesso, la fondazione nel 1973 del movimento Psichiatria Democratica e la prima agognata chiusura di un manicomio a Trieste nel 1977.
«Grazie alla sua opera – prosegue il dottor De Rossi – il 15 maggio 1978 viene emanata la Legge 180: per arrivarci servono rinunce a livello politico. La scrive materialmente uno psichiatra democristiano, Bruno Orsini, e Basaglia non è contento di tutto ciò che contiene. Lui, ad esempio, non voleva i reparti, ma alla fine accetta il compromesso». Non farà, però, in tempo a vedere la legge pienamente applicata e i suoi effetti sulla psichiatria perché proprio nella primavera del 1980 si manifestano i primi segni di un tumore cerebrale che lo portano alla morte nel giro di pochi mesi.
Tanti i detrattori con cui Basaglia si ritrova a fare i conti in vita: accuse per lui di negare o minimizzare la patologia, di volerla normalizzare. Ma il contesto in cui si trova a operare è drammatico: il paziente finisce in manicomio perché ritenuto pericoloso, la tutela della società vale più di quella del paziente e allora la custodia ha il primato sulla cura, l’internato perde i diritti civili, le dimissioni sono pressoché impossibili.
La Legge 180 – molto breve, appena 11 articoli – interviene su tutto questo:
- innanzitutto eliminando ogni riferimento al concetto di pericolosità, parola che viene cancellata dal testo;
- stabilendo come il compito della psichiatria sia curare e non custodire le persone pericolose;
- introducendo gli accertamenti sanitari su base volontaria;
- vietando, all’articolo 6, la costruzione di nuovi ospedali psichiatrici e ordinando la chiusura progressiva di quelli esistenti;
- istituendo, infine, piccoli reparti per acuti, con un massimo di 15 posti, dentro gli ospedali generali e funzionalmente collegati con il territorio.
«L’unicità mondiale di questa legge – spiega il relatore – è proprio lì dove scrive che non può esistere il manicomio: non c’è nessun’altra legge al mondo che sancisce che è vietato costruire manicomi. Tutti i modelli assistenziali, anche quelli più avanzati, prevedono entrambe le realtà, ospedale psichiatrico e assistenza territoriale, e alcuni, il Giappone ad esempio, sono ancora fondati solo sui manicomi».
A distanza di oltre 40 anni sono tanti gli effetti prodotti in Italia dalla Legge Basaglia:
- una trasformazione totale dell’assistenza psichiatrica con il passaggio dai 78 manicomi attivi nel 1978 a una rete complessa nel 2023, composta da più di mille centri di salute mentale, oltre 660 centri diurni, più di 300 servizi in day hospital e altrettanti servizi psichiatrici di diagnosi e cura, più di 1.500 strutture residenziali, nonché le cure a domicilio;
- l’aumento dei pazienti psichiatrici in carico, dai 76mila chiusi nei manicomi agli oltre 800mila attuali;
- il drastico calo dei trattamenti sanitari obbligatori, oggi fermi sotto il 5%;
- la chiusura, una decina di anni fa, anche degli ospedali psichiatrici giudiziari, cioè i manicomi criminali.
«Oggi – conclude il dottor Moreno De Rossi – i servizi della psichiatria italiana lavorano senza alcuna forma di istituzione chiusa, neanche per gli autori di reato. Non dobbiamo, certo, dimenticare il carico, spesso anche eccessivo, che è pesato sulle famiglie alla chiusura dei manicomi. Ma oggi noi lavoriamo come lavoriamo proprio grazie a Franco Basaglia. A lui dobbiamo molto».
Squisitamente clinica, invece, la seconda parte della mattinata a partire dalla relazione dello stesso dottor Moreno De Rossi che ha approfondito il tema della psicosi, sottolineando subito come nella psicopatia generale «i segni obiettivi siano pressoché trascurabili, non esistano esami strumentali che ci dicano che uno è depresso o schizofrenico e come lo strumento principale sia il dialogo. I sintomi in psichiatria sono spesso nascosti, poco evidenti, camuffati, minimizzati o ignorati». E il percorso diagnostico si fa davvero molto complicato.
La psicosi, allora, è la patologia più grave e meno diffusa con una prevalenza annua del 3-4% nella popolazione europea e italiana: i quadri di riferimento sono la schizofrenia, i disturbi deliranti, cioè la paranoia, e le psicosi acute. «La distinzione di fondo – spiega il relatore – tra il soggetto psicotico e quello, un tempo definito “nevrotico”, cioè con disturbi mentali comuni, è che il primo almeno in alcuni momenti perde il contatto con la realtà, soffrendo di deliri e allucinazioni, e può non avere coscienza dei propri disturbi. Il secondo invece no, è sempre presente a se stesso, ha sintomi come ansia, somatizzazioni e depressione, ma è cosciente del proprio stato».
Lo psichiatra ha quindi passato in rassegna:
- i principali disturbi della percezione, a partire dalle allucinazioni, «percezioni senza oggetto, immaginarie, che possono interessare tutti gli organi di senso: il soggetto sente realmente la voce, come voi adesso sentite me. Il problema è che la voce non c’è»;
- i disturbi del pensiero divisi tra disturbi formali del pensiero, cioè legati alla costruzione del pensiero, e disturbi del contenuto del pensiero, dalla forma più grave, il delirio – che «è una convinzione errata, inaccessibile alla critica: “Io sono Napoleone, sono controllato, mi perseguitano...”» – a quella meno grave, l’idea prevalente, quella che «domina la coscienza e la vita della persona, che non è assurda . Ad esempio la gelosia morbosa ed eccessiva»;
- i tantissimi diversi tipi di delirio: quello di persecuzione o quello di colpa, i deliri di grandezza o quelli mistici, quelli ipocondriaci o di identità… Anche se in realtà sono sempre gli stessi i contenuti del delirio: l’integrità corporea, la minaccia proveniente dall’esterno, la perdita, l’affermazione di sé;
- il quadro della schizofrenia con due tipi di sintomi, quelli che aggiungono qualcosa alla normale attività psichica, e quindi le allucinazioni, i deliri e le alterazioni del comportamento (atteggiamenti strani, bizzarri, inadeguati, impulsività, comportamenti aggressivi), e quelli che tolgono qualcosa: il senso di appiattimento, l’apatia, il disinteresse e il ritiro sociale;
- l’elemento cardine della schizofrenia, che la distingue dalle altre psicosi, cioè la compromissione della funzionalità scolastica, lavorativa e sociale della persona;
- il quadro dei disturbi deliranti, la paranoia, «in cui il soggetto ha deliri molto strutturati, credibili, senza gli altri sintomi tipici della schizofrenia, come le allucinazioni»;
- il disturbo psicotico breve che colpisce persone senza alcuna alterazione precedente e che diventa eclatante in pochissimo tempo, ma che «ha anche una buona prognosi perché la durata di questo disturbo è di almeno un giorno ma meno di un mese, con successivo pieno ritorno al livello di funzionamento premorboso»;
- il livello di prognosi delle psicosi, molto migliorato negli ultimi anni con il 25% delle persone che guarisce del tutto e ha una vita normale, tre quarti che migliora molto, un quarto, invece, che va incontro alla disabilità.
«Le cause delle psicosi – aggiunge il dottor De Rossi – sono ancora sconosciute: l’ipotesi più accreditata è quella del modello biopsicosociale, con un sovrapporsi di aspetti biologici, psicologici e ambientali. Non sono malattie genetiche in senso stretto, ma sappiamo che la genetica ha un suo ruolo: si eredita una fragilità che in un particolare contesto ambientale, familiare, sociale, culturale può far sfociare la patologia».
Il relatore ha poi approfondito anche il tema del disturbo bipolare, le alterazioni dell’umore che, a seconda della direzione che prendono, verso il basso o verso l’altro, diventano depressione o mania, che hanno un tipico andamento episodico, singolo o ricorrente, e che si definiscono appunto bipolari se sono entrambi presenti.
Quattro i sintomi della sindrome maniacale: un grave e persistente innalzamento del tono dell’umore, l’attivazione psicomotoria, l’ideazione grandiosa e ottimistica, e i sintomi “biologici”. «In sostanza – spiega lo psichiatra – il paziente è sempre euforico, felice, entusiasta, molto reattivo a qualsiasi stimolo, è irrequieto, non riesce a stare fermo, veste in modo bizzarro, è logorroico, fa di tutto senza fare niente, è un motore acceso che non si riesce a fermare, spende tantissimo, ha comportamenti rischiosi, sopravvaluta le proprie capacità, vede tutto realizzabile, dorme poco, mangia molto ma senza prendere peso, anzi dimagrendo».
Prima di chiudere la sua relazione, da parte del dottor De Rossi anche un passaggio sugli psicofarmaci e sulla loro classificazione (ansiolitici e ipnotici, antidepressivi, antimaniacali e antipsicotici) con un focus particolare sugli antipsicotici. «Gli psicofarmaci – sottolinea l’esperto – agiscono sulla psicosi e in particolare, molto bene, con netti miglioramenti nel giro di qualche giorno, proprio sui sintomi, sulle allucinazioni e sul delirio. La sedazione è solo un effetto collaterale che non vorremmo avere e che via via, con gli ultimi ritrovati, sta scomparendo».
I disturbi d’ansia nei giovani, esacerbati anche dalla pandemia e dall’uso smodato del web, il tema approfondito nell’ultima parte del convegno con la relazione di Maria Bianco, direttore dell’Unità Complessa Psichiatra 1, Distretti di Venezia e Chioggia dell’Ulss 3 Serenissima che è partita dall’etimologia della parola ansia, dalla sua definizione e da una breve storia di questi disturbi – dalla prima descrizione di un caso di fobia in Ippocrate all’associazione tra ansia e altri disturbi psichiatrici di Emil Kraepelin a inizio Novecento, alle teorie psicoanalitiche e al concetto di nevrosi di Freud, padre di questi disturbi, al contributo, infine, della ricerca farmacologica e delle neuroscienze – per poi attraversare uno a uno i quadri classici di oggi dell’ansia con l’aiuto di casi clinici concreti.
«L’ansia – sottolinea subito – è un’esperienza umana che ci accomuna tutti. Tutti nella nostra vita siamo stati ansiosi, abbiamo provato apprensione per un pericolo, in attesa di qualche esame medico, o magari della nascita di un figlio. L’ansia è un’esperienza che possiamo condividere».
La dottoressa Bianco ha quindi illustrato le diverse classificazioni di questi disturbi, iniziate negli anni Cinquanta con l’individuazione di tre nevrosi – d’ansia, fobica e ossessiva – che poi si sono diramate per arrivare oggi al disturbo d’ansia generalizzata, disturbo di panico, agorafobia, fobia sociale, fobia specifica, mutismo selettivo e disturbo d’ansia da separazione.
«I disturbi d’ansia – spiega la relatrice – hanno in realtà un quadro classico di manifestazioni. A cambiare sono l’ambito culturale, i fattori di rischio, l’andamento epidemiologico…». I sintomi classici dell’ansia, allora, sono di tre tipi:
- fisici: la tachicardia, ad esempio, o il respiro corto, le mani fredde, la debolezza e la nausea;
- psicologici: come la preoccupazione, il calo di efficienza, la scarsa concentrazione, il nervosismo, la distorsione del reale;
- comportamentali: ad esempio l’immobilizzazione, la fuga, l’evitare situazioni specifiche, la forte paura, lo sfuggire il contatto visivo.
Tra i disturbi – che per essere tali devono persistere per almeno 6 mesi – approfonditi dalla dottoressa Bianco con l’aiuto di casi clinici:
- il disturbo d’ansia da separazione, molto frequente nei bambini, che insorge sotto i 6 anni e scatta per la separazione delle figure di riferimento, una paura eccessiva e inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo e che si può manifestare con il rifiuto di uscire di casa o di stare da soli, con sintomi fisici e incubi ricorrenti;
- il mutismo selettivo: molto più raro e spesso associato alla fobia sociale, si manifesta prima dei 6 anni e si caratterizza per un’elevata incapacità di parlare in situazioni sociali, ad esempio a scuola;
- la fobia specifica cioè la paura di qualcosa di preciso: l’altezza, un animale, i luoghi chiusi, il sangue, addirittura il numero 13. Il caso è quello dell’universitario Davide che ha paura dei piccioni e per questo cambia il suo progetto di vita: non vivrà a Venezia. La fobia specifica insorge in giovane età, ha un’alta prevalenza nei bambini e negli anziani, ma un picco del 16% anche negli adolescenti. «La persona ha un’intensa paura – dice l’esperta – e la reazione è clamorosa, incontenibile, inaspettata ed esagerata rispetto allo stimolo che la scatena. La fobia specifica compromette la vita del paziente»;
- la fobia sociale con la storia della 19enne Alessandra, timida, con pochi amici reali e tanti virtuali con cui si trattiene fino a notte fonda. Un disturbo che ha un’alta prevalenza nei giovani, il 7%, e si manifesta nell’adolescenza, tra gli 8 e i 15 anni. «La persona – spiega la dottoressa Bianco – ha paura di esporsi allo sguardo degli altri, non parla o non mangia in pubblico, ha paura del giudizio negativo altrui ed evita situazioni sociali. Se si arriva a non uscire più di casa, penalizza la vita in modo pesante». Ad aggravare la situazione per la generazione Z, i nati tra il 1996 e il 2015, l’uso costante di internet a scapito di altre attività sociali: chi ha un disturbo d’ansia sociale usa di più il web e i social media in maniera disfunzionale;
- il disturbo di panico con la storia dell’operaio 23enne Francesco, già sposato e con figli, una moglie malata, colpito all’improvviso da un malore. Un disturbo che ha una prevalenza del 2%, insorge in un’età più adulta, tra i 20 e i 24 anni, e si manifesta con ricorrenti attacchi di panico inaspettati. «È una delle manifestazioni più dolorose – sottolinea la relatrice – dal punto di vista psichico. La persona ha la sensazione di impazzire, quasi di morire, ha brividi, nausea. Un attacco di panico dura in realtà molto poco, qualche minuto, ma la percezione è che sia infinito»;
- l’agorafobia rappresentato dal caso di Valentina, disoccupata ventenne che da qualche tempo si sente senza speranza, triste, affaticata, inappetente, svogliata e si sente male per strada. Riduce tutte le proprie attività e, se proprio deve uscire, si fa sempre accompagnare. L’agorafobia insorge prima dei 35 anni e colpisce l’1,7% degli adolescenti e degli adulti: la persona evita mezzi pubblici, spazi aperti affollati, spazi chiusi, le code, tutte le situazioni in cui pensa di non poter ricevere aiuto. Può essere associata ad altre patologie psichiatriche, come la depressione o il disturbo della personalità, a disturbi del neurosviluppo e a patologie organiche;
- il disturbo d’ansia generalizzata con la storia della 35enne Francesca che perde il padre per il Covid e torna a vivere dalla madre, ma dorme male, è sempre stanca, teme la possano licenziare. Questo disturbo insorge prima dei 35 anni e colpisce tra il 4 e il 7% della popolazione adulta: «La persona è sempre molto preoccupata per tutti gli aspetti della propria vita. Questo disturbo è molto difficile da controllare ed è molto penalizzante, compromette la quotidianità».
Tra gli altri temi affrontati dalla dottoressa Bianco: l’epidemiologia dei disturbi d’ansia – con un aumento del 25% dei casi nel mondo, in Italia la prevalenza è passata dal 20 al 25-26% dopo la pandemia, a danno soprattutto di giovani, giovani adulti e donne – e il loro trattamento che passa dagli esami completi alla psicoeducazione, ai farmaci, alla psicoterapia.
«Ma – si chiede la relatrice concludendo – sono aumentati i disturbi d’ansia nei giovani? Sì, in particolare in correlazione all’isolamento e allo svantaggio sociale e perché i giovani hanno una più alta probabilità di restare disoccupati per le crisi economiche. C’è uno studio fatto dal Censis che dice che 6 giovani su 10 hanno cambiato la propria visione del futuro dopo la pandemia: il 40% di loro dice che sarà peggiore. Prevalgono incertezza (49%) e ansia (30%), che in alcuni casi si trasformano in paura (15%) e pessimismo (13%). Sulla base delle evidenze, allora, con la nostra équipe abbiamo deciso di provare a garantire ai giovani, cominciando dagli universitari, i trattamenti a bassa soglia».
Grazie alla rivoluzione attuata da Franco Basaglia, insomma, molti passi avanti nel campo della salute mentale sono stati fatti: dalla definizione delle patologie alla messa a punto del loro trattamento, dall’efficacia degli psicofarmaci all’ampliamento dei servizi. E se i dati dicono che psicosi e disturbi d’ansia sono in aumento un po’ ovunque, la salute mentale non può restare la Cenerentola degli investimenti.
Come rilevato anche dalla FNOMCeO, in audizione lo scorso 11 aprile alla Commissione Affari sociali e sanità del Senato (qui il documento integrale:
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SaluteMentale AudizioneFNOMCeO 11 04 2024(262 KB)
), «oggi sussistono gravi carenze assistenziali; le strutture presenti sul territorio sono infatti insufficienti; non sempre esistono le equipe multidimensionali, non sempre esiste la presa in carico sociosanitaria del paziente psichiatrico, spesso le famiglie sono lasciate sole. […] Il futuro della Legge 180 è affidato alla scelta politica di voler destinare le risorse adeguate all’assistenza psichiatrica, sia tenendo conto che rendere operative e funzionali strutture che seguano il paziente psichiatrico nelle varie fasi del percorso assistenziale è un impegno politico-sociale di civiltà con i suoi relativi costi, sia rendendosi conto che tale scelta va anche sostenuta a livello culturale».
Tra le richieste arrivate dalla FNOMCeO azioni per:
- rimuovere ogni discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione delle persone con disagio e disturbo mentali;
- promuovere l’esercizio dei diritti costituzionali e delle libertà fondamentali;
- garantire la piena effettività delle disposizioni sui trattamenti sanitari volontari e obbligatori;
- valorizzare iniziative di prevenzione;
- garantire percorsi di cura personalizzati;
- attivare programmi di reinserimento abitativo, lavorativo e sociale;
- ridefinire gli indirizzi in materia di profili professionali e formazione nel settore della salute mentale.
A servire, insomma, sono più sinergia, più approccio multidisciplinare e più risorse, soprattutto in un’ottica di prevenzione «perché i disturbi mentali – conclude la FNOMCeO – rappresentano una delle maggiori sfide per il Servizio Sanitario Nazionale in termini di prevalenza, carico della malattia e disabilità, giacché colpiscono parte della popolazione ogni anno».
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia