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Capire come organizzare al meglio il percorso di assistenza al paziente con arteriopatia periferica e tromboembolia polmonare, patologie vascolari così frequenti nella pratica clinica che ogni medico si ritrova prima o poi a doversi confrontare con esse. Il primo a farlo è di sicuro il medico di famiglia, dopo di lui gli specialisti. Questo l’obiettivo del convegno La gestione del paziente con patologie vascolari arteriose e venose che si è svolto lo scorso 19 ottobre al Centro Pastorale Cardinal Urbani di Zelarino, organizzato per l’Ordine dall’angiologo Roberto Parisi.
Ad accogliere i partecipanti il presidente dell’OMCeO veneziano e vice nazionale Giovanni Leoni che ha fatto qualche riflessione dopo aver partecipato in settimana a un convegno sindacale degli agricoltori pensionati, «persone che – ha sottolineato – hanno lavorato la terra una vita, hanno pagato i contributi e ora hanno una pensione minima di 600 euro lordi al mese, le donne, e di 800 gli uomini. Persone che poi ci ritroviamo negli ambulatori e in ospedale e che dipendono completamente dalla sanità pubblica. A loro dobbiamo pensare».
Il presidente Leoni si è poi soffermato anche sulle patologie cardiovascolari «al primo posto – ha detto – nell’interesse e nelle necessità dei cittadini. Quello di oggi è un evento multidisciplinare con i maggiori esperti della medicina del settore: è un punto d’unione tra i vari e diversi aspetti di una branca in testa alla problematica delle liste d’attesa».
A portare i saluti del direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima Edgardo Contato, il direttore sanitario Giovanni Carretta, anche relatore durante la mattinata, che ha sottolineato come «la giornata di oggi sia sicuramente una di quelle che lascia il segno perché si affronta una tematica da diversi punti di vista, con una logica di prospettiva. Queste sono occasioni per ragionare insieme e confrontarsi, per dare sostanza alle grande riforme che ci attendono, per costruire il futuro della nostra sanità».

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Una patologia, quella cardiovascolare, che è trasversale e interessa sia il territorio sia l’ospedale. Da qui sono partiti i moderatori Cristiana Leprotti, direttore dell’Unità Ipertensione e Patologie Endocrino Metaboliche e Angiologiche dell’Ospedale Civile di Venezia, e Paolo Sarasin, segretario dell’Ordine, per cominciare a delineare l’attuale contesto delle cure.
E se, come detto, il primo ad affrontare questi pazienti è il medico di famiglia, proprio a questa categoria spetta il compito di individuare le prime criticità del territorio nell’assistenza e nella cura di questi pazienti. A farlo il medico di Medicina Generale Martina Musto che ha subito sottolineato il peso di queste patologie nell’attività quotidiana del medico di famiglia, ricordando come in Veneto la patologia vascolare arteriosa abbia un’incidenza del 5,37%, cioè un’ottantina di pazienti per ogni medico, il tromboembolismo venoso del 2,69% e l’insufficienza venosa e le varici agli arti inferiori del 5,38%.
Il medico di Medicina Generale si ritrova, dunque, a dover gestire un importante grado di fragilità. «La metà dei nostri assistiti – ha aggiunto la dottoressa Musto – ha un rischio alto o molto alto di tromboembolismo venoso. Sono tanti… E questo ci deve far pensare nel formulare i modelli organizzativi».
Rapporto di fiducia, continuità nella relazione di cura e facile accessibilità sono ciò che consentono al medico di famiglia di farsi carico della cronicità del paziente e di sostenerne con lui il peso: patologie pesanti da affrontare perché cambiano le abitudini, si dovrà seguire una terapia e fare controlli per tutta la vita, si potrà, forse, perdere la propria autonomia.
«La presa in carico – ha spiegato la relatrice – è una assunzione di responsabilità proattiva da parte del Sistema Sanitario nei confronti di chi è affetto o a rischio di sviluppare una malattia cronica». Fondamentale, allora, il confronto con lo specialista per una presa in carico condivisa. «Dobbiamo considerarci – ha aggiunto – un unico team: la possibilità di confronto tra specialisti e medici del territorio deve essere messa a sistema. C’è un tempo con il paziente e un tempo per il paziente ed entrambi sono tempo di cura».
Questa, dunque, la prima criticità del medico di famiglia nell’affrontare il percorso di cura del paziente vasculopatico: la scarsa sinergia con l’ospedale, la difficile integrazione con i servizi di secondo livello e la difficoltà di costruire piani assistenziali individuali condivisi. A rendere, poi, il tutto più difficile l’organizzazione della Medicina Generale ancora troppo semplice – pensata negli anni Settanta per gli acuti e non per i cronici – a fronte di una complessità clinico-assistenziale sempre maggiore. «Io devo anticipare – spiega la dottoressa Musto – i bisogni del paziente per affrontare in modo efficace la cronicità». Modello, però, che necessita di personale di supporto negli ambulatori, di tempo per la Clinical-Governance e di sgravio dalle incombenze burocratiche e amministrative.
«La difficoltà insomma – la conclusione della relatrice – è che non si riesce a prendere in carico il paziente come sistema. Ma credo che l’evoluzione della nostra professione possa essere d’aiuto alla sostenibilità delle cure».

Della necessità di nuovi modelli organizzativi per i medici sul territorio si è occupato poi anche Maurizio Scassola, vicepresidente dell’Ordine e segretario di FIMMG Veneto, che ha presentato lo studio da condotto dal sindacato con la CGIA di Mestre sulla riorganizzazione della Medicina Generale nella nostra regione, alla luce dell’arrivo delle Case della Comunità.
Attraverso una serie di mappe sulla densità della popolazione, l’indice di vecchiaia, i tempi di percorrenza per arrivare alle nuove strutture, e i dati sull’ancora alto numero di medici di famiglia che lavora da solo – il 37% in Veneto, un terzo del totale – il relatore ha sottolineato come «le Case della comunità da sole non bastano a rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Le Case della Comunità dovranno essere il risultato finale di un percorso evolutivo e di competenze che parte da un ambulatorio di un medico dell’agordino che lavora ancora da solo, perché vive in una frazione dispersa e gli studi periferici devono restare aperti, per poi svilupparsi nelle Medicine di Gruppo e le Medicine di Gruppo Integrate, forme più evolute di organizzazione, e approdare solo alla fine del cammino alle Case della Comunità, a cui arriveranno solo quei bisogni che non si sono potuti affrontare ai livelli inferiori».
Chi fa cosa? Come collaborare insieme? Perché non usare insieme la telemedicina o la telerefertazione?: alcune delle domande, insieme ad altre più specifiche sull’assistenza ai pazienti vasculopatici e le competenze da implementare in questo ambito per i medici di famiglia, che Maurizio Scassola ha rilanciato ai colleghi ospedalieri a conclusione del suo intervento.

Sviscerate le criticità del territorio, si è passati poi al punto di vista ospedaliero con Raffaele Pesavento, docente al dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedale Università di Padova, che ha subito sottolineato come le patologie vascolari siano un problema di salute pubblica serio e crescente, «ma il carico di evidenze scientifiche di cure disponibili e l’integrazione nella pratica rende questa una sfida immensa».
Le malattie vascolari, infatti, colpiscono una parte importante di organi e apparati e c’è un’elevatissima dispersione di competenze specialistiche ormai necessarie, ma che richiedono un governo e un coordinamento. «Chi coordina – si è chiesto il relatore – questi processi? La medicina vascolare è al centro di un network in cui ci sono da una parte rapporti con i medici di famiglia e le cure primarie, dall’altra con gli specialisti, il chirurgo, il cardiologo, l’oncologo… Sta diventando una materia troppo complessa per essere gestita in modo semplicistico».
Per curare il paziente nel modo migliore e più efficace, dunque, non servono “prestazionisti”, ma figure di alta competenza. Nonostante in Veneto si possa contare su una realtà virtuosa, non mancano, anche sotto il profilo ospedaliero, le criticità in questo ambito, che vanno dal carico amministrativo alla carenza di personale, dall’identificazione dell’esperto in medicina vascolare al sovraccarico di prestazioni inappropriate, dalla scarsa comunicazione con i medici sul territorio alla mancanza di aree di gestione prioritaria di pazienti vascolari nei Pronto Soccorso.
«Bisogna fare – ha spiegato il dottor Pesavento – un’alleanza con il territorio: quando si dimette un paziente, non si può mettere in crisi il medico di Medicina Generale. Bisogna dargli delle risposte coerenti, aiutarlo nella presa in carico dell’assistito». La realtà, però, è che per la medicina vascolare non esiste un reale modello di percorso assistenziale integrato ospedale-territorio.
Quali, allora, le prospettive? «Ci sono – ha detto il relatore – nuvole grige: la figura professionale del medico vascolare, gli atti aziendali da standardizzare e accreditare per capire chi fa cosa, e i rapporti con la rete territoriale, su cui purtroppo non sono molto ottimista perché non riusciamo a creare canali di comunicazione efficaci». Ma, per fortuna, non è tutto grigio, ci sono anche nuvole verdi: l’alta formazione del medico vascolare fatta a vari livelli, non solo universitario, e la necessità di fare un salto in avanti anche in ospedale «con lo stop al medico tuttofare – ha concluso il dottor Pesavento – figura obsoleta e non più efficace, per far posto a figure cliniche che sappiano risolvere i problemi, un team di professionisti sanitari che abbiano dei ruoli».

A chiudere la prima parte del convegno per delineare il contesto, una tavola rotonda sul possibile apporto delle società scientifiche, a cui hanno partecipato Romeo Martini, presidente della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV), e Angelo Santoliquido, alla guida del Collegio Italiano di Flebologia.
Tra i fronti su cui si muove la SIAPAV in ambito vascolare, la messa a punto dei PDTA, Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali, con le linee guida da applicare sul campo, nella pratica quotidiana professionale, «modelli – ha sottolineato il dottor Martini – che poi ogni regione, ogni singolo ospedale cala sul suo territorio. E in tutti i questi modelli è prevista la presenza del medico di Medicina Generale, punto di partenza di tutto».
Ma in cosa possono dare una mano le società scientifiche? SIAPAV ha ben chiara la risposta: sulla formazione e sul contrasto serrato alle fake news che «in ambito vascolare – ha aggiunto il presidente – arrivano a valanga. Noi dobbiamo produrre cultura: facciamo ricerca, abbiamo prodotto 10 pubblicazioni in 3 anni, ricerca che poi traduciamo in formazione». Formazione del medico di medicina vascolare, ovviamente, ma non solo, anche di tutti gli operatori, gli infermieri ad esempio, che gravitano all’interno di questo ambito.
I progetti, però devono partire dal basso, osservando le esigenze del territorio. «A Belluno ad esempio – ha concluso – abbiamo creato la rete: nel primo anno abbiamo avuto 13 aneurismi rotti. Questo ci ha spinto a portare quanto meno un ecografo nell’agordino, uno nel Cadore, uno nel Comelico… Da Santo Stefano a Pieve di Cadore c’è un’ora e mezzo di strada da fare. Con le trombosi si muore: bisogna che sul territorio ci sia qualcuno di attento».
Sulla formazione si è soffermato anche Angelo Santoliquido spiegando come la madre di tutte le questioni sia: chi è il medico di medicina vascolare? Chi certifica che quello è un medico di medicina vascolare? «La competenza – ha spiegato – di questi professionisti è a tutto tondo. Accanto al master esistono anche altre forme di certificazione su cui, ad esempio, possono intervenire gli Ordini per valutare se un medico di medicina vascolare possa essere definito tale, dopo aver trascorso tanto tempo al lavoro all’interno di una divisione di medicina vascolare. Mancano figure riconosciute come tali ed è fondamentale avere persone credibili: se tutto diventa un opificio per dare una medaglia, senza però essere in grado di dare risposte efficaci, falliamo facendo anche una figuraccia».
Il segreto è la creazione di team multidisiciplinari «con cui – ha concluso il presidente Santoliquido – riuscire a interagire con gli altri. Dobbiamo scrollarci l’idea di essere ognuno capo di qualcosa. I percorsi non sono più sopra-sotto, sono trasversali. Seguire l’esigenza del paziente è un percorso trasversale: se non lo facciamo, non diamo risposte a nessuno, costruiamo un modello fallimentare. Il medico di Medicina Generale deve essere un attore fondamentale».

La seconda parte della mattinata si è aperta con due relazioni squisitamente cliniche: Alberto Dall’Antonia, direttore della Chirurgia Vascolare all’Ospedale dell’Angelo di Mestre ha proposto il punto di vista del chirurgo vascolare, Giuseppe Grassi, invece, che nell’Ospedale Civile di Venezia guida la Cardiologia, ha proposto la prospettiva degli specialisti in malattie cardiovascolari.
Di cosa si occupa il chirurgo vascolare? È partito da questa domanda il dottor Dall’Antonia per passare in rassegna gli ambiti di competenza di questa figura professionale: l’insufficienza cerebro-vascolare, che è causa del 15-20% di ictus ogni anno, la patologia aneurismatica dell’aorta toraco-addominale e degli arti inferiori, patologia subdola perché totalmente asintomatica, l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori, molto diffusa (40 milioni i malati attualmente in Europa), e la patologia ischemica acuta degli arti. Di ogni patologia ha tracciato, anche con il supporto di casi clinici concreti, le caratteristiche, la diagnosi e le opzioni di trattamento, dalla chirurgia tradizionale a quella endovascolare.
Proprio quest’ultima può contare su un discreto numero di vantaggi: la mortalità e la morbidità più basse, è meno invasiva, ci sono meno dolore e meno perdite ematiche e riduce i tempi operatori, quelli di ospedalizzazione e di convalescenza, comportando, quindi, un minor costo globale.
«Ci sono pazienti molto complessi – ha sottolineato il relatore – per cui è fondamentale un approccio multidisciplinare tra chirurgo vascolare e angiologo: c’è un crescente gruppo di persone che non è più rivascolarizzabile e per la terapia medica a cui vanno sottoposte l’angiologo ricopre un ruolo cruciale».
Il paziente vascolare, dunque, va sempre trattato nel rispetto delle linee guida internazionali. «Un corretto trattamento – ha concluso il dottor Dall’Antonio – anche se tecnicamente ben eseguito, può risultare non risolutivo in questi pazienti cosi complessi. L’approccio multidisciplinare, allora, serve per arrivare alla completa guarigione del paziente che va seguito in ogni fase della sua malattia».

«Il processo – ha sottolineato subito il dottor Giuseppe Grassi – non si focalizza solo sulla carotide, su un piede o sulle coronarie, ma sull’intero distretto arterioso, se parliamo di arterie. Quando sussiste una malattia delle coronarie, vi è una certa percentuale di patologia alle carotidi e una certa percentuale nel distretto degli arti inferiori e delle arterie».
Davanti alla prima causa di mortalità e di disabilità nel mondo occidentale, questo sono le patologie cadiovascolari, il primo passo da fare è correggere i fattori di rischio, consigliando innanzitutto ai pazienti di camminare molto, anche quando sentono dolore.
L’ischemia acuta e la necessità di cercare sempre di preservare gli arti, l’uso dei palloni medicati, i cui dati sono incoraggianti, la riabilitazione – «che è sostanziale: i pazienti si avvantaggerebbero tantissimo di un programma di esercizi fisici da attivare subito dopo l’intervento. Il costo sociale di un’amputazione è drammatico per il paziente e per la sua famiglia» – la terapia medica con un anticoagulante a dosaggio vascolare che andrebbe usato in tutti i pazienti a basso rischio, gli interventi sul distretto carotideo tra i temi affrontati dal cardiologo.
«Ben più complicato invece – ha aggiunto il dottor Grassi – l’aspetto venoso: l’embolia polmonare è un problema serio e anche mortale. Ma non sempre si ricovera un paziente con embolia polmonare: se l’embolia polmonare non ha compromissione emodinamica o risentimento, il paziente lo trattiamo con la terapia anticoagulante».
Il cardiologo, dunque, può e deve entrare nella gestione dei pazienti cardiovascolari «perché purtroppo – ha concluso il relatore – il rischio di coronopatia è sempre presente. La prevenzione è fondamentale, come pure il supporto della tecnologia che risolve molte situazioni che altrimenti non sarebbero risolvibili».

A chiudere il convegno, prima dello spazio dedicato alla discussione, uno sguardo sul futuro anche sotto il profilo della gestione delle patologie vascolari, con un focus sull’apporto dell’intelligenza artificiale, proposto dal direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima Giovanni Carretta, che ha sottolineato subito l’esigenza importante, emersa durante la mattinata di studi, di un coordinamento, di un confronto, di un dialogo tra le figure coinvolte.
«Il contesto attuale – ha spiegato – è in rapida evoluzione. Il futuro è quello di interventi chirurgici robotici in cui il chirurgo affiancherà la macchina, non sarà più il protagonista dell’atto chirurgico. Dobbiamo immaginare interventi chirurgici di alta complessità che potranno in futuro essere gestiti dalle macchine. L’intelligenza artificiale è la quarta rivoluzione industriale: se non ce ne rendiamo contro, come categoria professionale, la subiremo. Serve un nuovo approccio per valorizzare il ruolo del professionista e del medico in una logica diversa».
Il direttore sanitario si è poi soffermato sulle prospettive della gestione territoriale che sono di grande cambiamento: oggi sono attivi il 118, i medici di famiglia, la farmacia dei servizi, i Pronto Soccorso, la continuità assistenziale, «senza però – ha specificato – un governo unico tra loro. Ma è in arrivo dalla Regione il numero unico europeo 116117 per governare a livello territoriale tutto ciò che non è emergenza-urgenza».
Tanti i temi a cui ha fatto cenno il dottor Carretta: dalla medicina su misura alla carenza del personale sanitario, in particolare di infermieri «per cui si aprirà una voragine spaventosa», dall’appropriatezza, con tanti esami “indotti” dalla pressione a cui i medici sono sottoposti, alla necessità di cambiare paradigma rispetto alla centralità del paziente, «che non deve essere più vettoriale – ha detto – ma circolare: i vari livelli devono stabilire legami tra loro, le figure professionali si devono parlare».
La prospettiva più concreta è quella di una medicina predittiva: curare davvero la persona rivelando precocemente i fattori di rischio e le criticità legate alla familiarità, che possono portare negli anni al precipitare della patologie. «Il medico di Medicina Generale – ha concluso il dottor Carretta – sarà il maestro d’orchestra del paziente, che sarà a sua volta più responsabilizzato, e le Case della Comunità saranno un luogo dove trovare risposte, anche amministrative e burocratiche, liberando tempo di cura per il medico di famiglia. La Casa della Comunità non sarà qualcosa di più, sarà qualcosa di diverso, che dà opportunità e che libera risorse da usare in modo diverso. Dobbiamo riuscire a dare la sensazione ai pazienti di essere realmente al centro delle cure».

Tante le idee emerse, tante le esigenze da soddisfare per gestire al meglio in futuro i pazienti con patologie vascolari arteriose e venose. «Pazienti sempre più complessi – le conclusioni tirate dal responsabile scientifico Roberto Parisi e dal medico di famiglia Enrico Peterle – che vengono curati da figure particolari, i medici vascolari, che però lavorano in strutture non omogenee. Cure per cui contano i titoli, ma contano anche le competenze. Cure per cui servono modelli organizzativi nuovi e una diversa interazione ospedale-territorio».
Su formazione e competenze qualcosa potrà fare anche l’Ordine: dal dottor Parisi e dal presidente Giovanni Leoni la promessa di definire un percorso, mettendo dei paletti ben chiari e lavorando in sinergia con Università e Società scientifiche, per certificare la professionalità acquisita in questi ambiti, il riconoscimento – anche se non si tratta di una specializzazione – di una competenza professionale costruita grazie all’attività sul campo. Il primo di tanti passi da fare.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia