Essere coerenti in tutto ciò che si documenta e riportare fatti che riconducano al vero: sono queste due delle principali caratteristiche che devono seguire i medici e gli odontoiatri quando redigono certificati e cartelle cliniche, documentazioni sanitarie che testimoniano percorsi e scelte terapeutici ed assistenziali e che sono di grande supporto in caso di contenzioso giudiziario.
È ciò che è emerso lo scorso 23 novembre alla seconda edizione, la prima era stata a maggio, del convegno Il ruolo della Medicina Legale nell’attività certificativa del medico: norme, dubbi, incertezze, problemi aperti, organizzato per l’OMCeO Venezia da Cristina Mazzarolo, medico legale e coordinatrice della Commissione Pari Opportunità (CPO) dell'Ordine, al Centro Cardinal Urbani di Zelarino.
Assente per motivi istituzionali, il presidente e vice nazionale Giovanni Leoni ha comunque inviato un video di saluto ai partecipanti dal Vaticano dove era in attesa di un’udienza con papa Francesco. A fare gli onori di casa, allora, è stato il vicepresidente Maurizio Scassola che ha subito sottolineato come «l’alleanza con la medicina legale all’interno della professione sia fondamentale per la nostra sicurezza e quella delle persone che curiamo. Un ambito, poi, che determina la partecipazione del medico e dell’odontoiatra alla richiesta e all’ottenimento dei diritti delle persone. Dunque un ruolo di grande responsabilità».
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La mattinata è stata intensa e ricca di spunti concreti, pensata, grazie al supporto dei medici legali, per aiutare i colleghi a sciogliere dubbi e incertezze di fronte a un certificato, a una cartella o a un diario clinico da compilare. «Oggi vogliamo confrontarci – ha spiegato l’organizzatrice Cristina Mazzarolo – in modo molto pratico su problematiche che troviamo ogni giorno nella nostra attività. Il primo obiettivo è creare un coordinamento sempre più proficuo tra professionisti dell’ospedale e del territorio. Su questo ci stiamo muovendo per evitare che vengano trasmessi contenuti non corretti che potrebbero avere conseguenze anche gravi. L’altro obiettivo è semplificare: predisporre moduli e brochure, da diffondere anche sul territorio, per indicare per temi di varia natura ciò che la normativa prevede e le strutture a cui rivolgersi, ma anche i doveri che il cittadino ha».
La cartella clinica, il suo significato, i riferimenti normati e deontologici, ma anche la veste giuridica del professinista sanitario, la riservatezza e il segreto professionale i primi temi approfonditi attraverso la relazione della professoressa Anna Aprile, direttore di Medicina Legale e Tossicologia all’Azienda Ospedaliera Università di Padova.
Da lei subito un excursus sulle norme, di legge e deontologiche, attualmente in vigore, che regolano la stesura della cartella clinica: dal Decreto del Presidente della Repubblica n° 128 del 27 marzo 1969 al Decreto legislativo n° 502 del 30 dicembre 1992, che riordina la disciplina in materia sanitaria, dalla cosiddetta legge sulle DAT, la n° 219 del 22 dicembre 2017, che regola anche il consenso informato e la pianificazione condivisa delle cure, alla Legge Gelli, la n° 24 dell’8 marzo 2017, con le disposizioni sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità professionale.
«Noi non abbiamo una legge – ha spiegato la professoressa – in cui ci sia scritto: la cartella clinica va compilata così. Le indicazioni sono disperse tra diverse norme in modo un po’ disorganico. Vanno rintracciate. Io parlo di cartella clinica, ma la intendo in modo più ampio, la documentazione sanitaria in generale».
La relatrice ha quindi passato in rassegna le funzioni che la documentazione sanitaria deve svolgere:
- quelle intrinseche, «fornire una base informativa per le scelte assistenziali, garantire la continuità dell’assistenza e permettere il confronto tra professionisti»;
- quelle accessorie, da un lato di natura gestionale e organizzativa, «documentare l’attività svolta durante un ricovero ordinario, ambulatoriale, di pronto soccorso, di urgenza ed emergenza o di distretto e rintracciare tutte le attività svolte», dall’altro di tipo giudiziario.
«Dal punto di vista medico-legale – ha aggiunto la professoressa Aprile – la documentazione sanitaria è quasi tutto. La ricostruzione dell’evento si basa proprio su questo. Tutto ciò cge facciamo, allora, va scritto perché è l’unica fonte per il contenzioso». E ad essere registrati non devono essere solo i dati clinici, ma anche gli elementi che possono caratterizzare la relazione con il paziente o con i suoi familiari.
Dopo aver spiegato che la documentazione sanitaria è anche un atto pubblico e le qualifiche giuridiche del professionista sanitario, la relatrice si è soffermata sulle ricadute pratiche, sul versante delle ipotesi delittuose, di certificati, schede e cartelle che pecchino sotto il profilo della veridicità. «La documentazione sanitaria – ha detto – come atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso del decorso clinico della malattia del paziente e dei vari fatti clinici che lo interessano. In sostanza ciò che è scritto nella cartella clinica è vero a prescindere, non è equivalente, ad esempio, al parente che racconta la stessa cosa, non ha lo stesso peso probatorio. Se però emerge, dopo querela, che la documentazione è falsa, è estremamente più grave».
Veridicità, completezza, precisione, chiarezza e tempestività i requisiti formali indispensabili per una documentazione sanitaria a prova di querela. Ma il professionista sanitario deve stare attento anche alla segretezza, alla riservatezza e alla trasmissione del segreto professionale.
«La documentazione sanitaria dunque – i messaggi da portare a casa della professoressa Aprile – è uno strumento di condivisione tra colleghi nella tutela della salute del paziente. Ma anche come importante strumento di difesa in caso di contenzioso. Dobbiamo fare bene e poter dimostrare anche documentalmente che abbiamo agito bene».
«Quando modificate qualcosa in una cartella clinica in un secondo momento, per tentare di evitare un’ipotesi di addebito colposo, qualcosa che è sfuggito, che è andato storto, che forse avete sbagliato, fate 3 o 4 reati dolosi, di una gravità estremamente maggiore. Per cui evitate come la peste questa cosa...». Questo l’avvertimento ai colleghi medici arrivato subito da Silvano Zancaner, direttore della Medicina Legale dell’Ulss 3 Serenissima, chiamato nella sua relazione ad approfondire i temi della perseguibilità dei reati, dei risvolti sanitari, delle lesioni personali e di quelle legate ai reati stradali, «argomenti finora scolpiti nella roccia – ha aggiunto – e che ora, invece, sono stati completamente stravolti dalla legge Cartabia di circa 2 anni fa».
Il relatore si è soffermato, quindi, sul dovere da parte degli operatori sanitari di collaborare con l’autorità giudiziaria nelle indagini ai fini di giustizia, dovere a cui non possono sottrarsi, e sulle vesti giuridiche. «Siamo pubblici ufficiali – ha sottolineato il dottor Zancaner – quando svolgiamo il ruolo di periti e consulenti tecnici, è di sicuro pubblico ufficiale il direttore sanitario o di presidio. Nel momento in cui ci laureiamo in medicina, ci abilitiamo e ci iscriviamo all’Ordine, siamo tutti persone esercenti un servizio di pubblica necessità. Le tre vesti giuridiche non si ottengono nel rapporto di impiego, ma sorgono nel momento in cui il soggetto si confronta con la legge penale».
Il medico legale si è soffermato anche sulle due modalità dell'attività informativa verso l’autorità giudiziaria, il referto e la denuncia di reato, e sui tipi di reato per cui l’operatore sanitario deve collaborare con gli inquirenti, atti lesivi sull’uomo e reati connessi all’attività sanitaria.
«Quello che capita più di frequente nella nostra attività professionale – ha spiegato – è osservare lesioni personali. Il Codice penale le distingue, esclusivamente a seconda della durata della malattia, in lievissime, meno di 20 giorni, e lievi, fino a 40 giorni. Per le prime si procede a querela di parte, non è un reato perseguibile d’ufficio, anche per le seconde si procede a querela, ma d’ufficio se contro persona incapace per età/infermità o contro personale sanitario». E si procede d’ufficio anche per le lesioni personali dolose gravi e gravissime.
Ampia parte della relazione è stata poi dedicata alle norme di carattere penale che riguardano le lesioni personali stradali, introdotte dalla Legge n° 41 del 23 marzo 2016. «In questi casi – ha sottolineato il dottor Zancaner – le pene sono veramente pesanti. Se uccidi una persona per strada, pur restando nell’ambito dell’omicidio colposo, e hai aggravanti di condotta, scappi o sei sotto l’effetto di stupefacenti, arrivi a pene che sono quasi maggiori a quelle per l’omicidio volontario».
Il consenso informato da raccogliere per l’atto sanitario, gli accertamenti coattivi, la responsabilità del medico accertatore, i gradi di gravità delle lesioni stradali e nautiche, quando stilare un referto e quando una denuncia, i diversi tipi di lesioni, come i maltrattamenti in famiglia, gli altri temi approfonditi dal medico legale.
Tra i concetti fondamentali da portare a casa:
- nelle lesioni personali stradali la durata della malattia non comporta più il viraggio verso la procedibilità d’ufficio;
- rimangono procedibili d’ufficio le lesioni personali stradali aggravate da condotte particolari (stupefacenti, velocità, guida contromano…), ma il medico di regola non ha questi dati, per cui non ha obblighi di segnalazione;
- nelle lesioni personali dolose la durata della malattia tra 20 e 40 giorni non comporta più il viraggio verso la procedibilità d’ufficio;
- rimangono procedibili d’ufficio le lesioni personali dolose aggravate;
- restano procedibili d’ufficio tipi particolari di lesioni: maltrattamenti contro i familiari e i conviventi, mutilazioni dei genitali femminili, interruzione di gravidanza non consensuale.
Dopo aver inquadrato il contesto medico-legale in cui si muovono i camici bianchi nelle loro vesti giuridiche, seconda parte della mattinata tutta improntata alla concretezza e agli esempi pratici per la compilazione di alcuni tipi di certificati, quelli su cui più spesso vengono sollevati dai professionisti dubbi e incertezze.
«Quando stiliamo un certificato – ha esordito Alice Chiara Manetti, dirigente della Medicina Legale dell’Ulss 3 Serenissima – non diamo nulla per scontato. I requisiti sostanziali sono chiarezza e veridicità. Qualora, ad esempio, ci siano fatti riferiti dal paziente, bisogna precisarlo per non far perdere veridicità al documento. Il medico deve sempre rilasciare il certificato, ma non può certificare il falso». Nessun paziente, insomma, può pretendere che il medico certifichi qualcosa che non sia vero o vada al di là delle sue competenze, ad esempio la capacità di intendere e di volere o le problematiche legate all’apprendimento linguistico.
Tra i documenti analizzati al microscopio dalla relatrice, anche con esempi pratici:
- la constatazione di decesso e la scheda ISTAT: chi le deve fare, come, quando, gli elementi essenziali, gli errori più comuni, cosa evitare;
- la richiesta di accertamento diagnostico da parte del medico di famiglia, qualora la morte risulti improvvisa e inaspettata o non ci siano patologie note che possano spiegare il decesso;
- il certificato di grave difficoltà nell’apprendimento linguistico, richiesto per esonerare gli stranieri dall’obbligo di fare il test per ottenere la cittadinanza e la cui competenza è esclusiva delle aziende sanitarie;
- il certificato di attività sportiva non agonistica;
- il certificato anamnestico per l’idoneità alla guida o al porto d’armi;
- altre certificazioni come ad esempio quella di idoneità psicofisica per attività di addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, in sostanza per fare il buttafuori;
- la capacità di intendere e volere «che, però – ha specificato la dottoressa Manetti – non è un concetto medico, ma giuridico. Nessun medico può certificare l’assenza di capacità di intendere e di volere. Può, però, certificare le condizioni patologiche del soggetto… Se poi queste siano tali da determinare una riduzione della capacità di intendere o di volere lo stabilirà il procedimento penale».
Al dottor Manlio Cardile, primo dirigente medico e medico superiore della Polizia di Stato, infine, il compito di approfondire la certificazione di idoneità alla guida dei veicoli, a partire dai requisiti fisici e psichici richiesti dal nuovo Codice della Strada per ottenere la patente. «Anche andare in giro in bicicletta in stato di alterazione alcolica – ha sottolineato – può essere sanzionabile: si può rischiare anche il ritiro della patente di guida».
Il relatore ha dunque passato in rassegna le figure professionali che possono rilasciare l’idoneità alla guida, il certificato anamnestico che compila il medico di famiglia, i casi che devono essere demandati alle commissioni locali patenti e la composizione di questi organi, gli strumenti di valutazione per l’idoneità alla guida e le malattie invalidanti, che escludono la possibilità di rilascio dell’idoneità, salvo motivato parere della commissione.
«Il giudizio per l’idoneità alla guida – ha sintetizzato il dottor Cardile – può essere monocratico o dato da una commissione patenti, la valutazione è finalizzata a individuare deficit di funzione e per i medici di famiglia c’è l’obbligo di segnalazione di una patologia quando redigono l’apposita certificazione preliminare all’accertamento».
A essere quotidianamente travolta dalla massa di certificati da redigere è soprattutto la categoria dei medici di Medicina Generale. «I certificati – ha sottolineato Giuseppe Palmisano, segretario di FIMMG Venezia – spuntano ogni giorno come funghi e i colleghi sono in difficoltà. Su questo abbiamo un pressing spaventoso. Spesso i pazienti arrivano e vogliono il certificato… per ieri. Allora dobbiamo resistere a queste pressioni e non avere fretta. Spiegare all’assistito che dobbiamo documentarci per dare le risposte più appropriate».
Al centro delle sue riflessioni anche la condivisione dei dati, nel pieno rispetto della privacy del paziente, e la necessaria e fondamentale comunicazione tra colleghi. «Abbiamo l’opportunità – ha aggiunto il medico di famiglia – di migliorare il nostro lavoro perfezionando i dati che inseriamo. Sempre di più lavoriamo in gruppo ed è fondamentale trasmettere le conoscenze reciproche al collega che magari vedrà quell’assistito in caso di necessità. Avere più dati a disposizione ci permetterà di trattare meglio quella persona nell’ottica della continuità delle cure e a tutela sua e nostra».
Fare un colpo di telefono ai colleghi della Medicina Legale è sempre un buon modo per fugare dubbi e incertezze. Alla fine della lunga mattinata di studi dalla dottoressa Cristina Mazzarolo anche un monito ai camici bianchi. «Abbiamo il dovere – ha concluso – di segnalare all’autorità competente tutte quelle condizioni che possono essere pericolose per la persona e soprattutto per la collettività. Un collega del territorio ha segnalato una paziente che andava in macchina al suo ambulatorio piena di psicofarmaci. Lui era terrorizzato… Alla fine la signora lo ha denunciato, ma il garante della privacy ha risposto che bene ha fatto quel medico a segnalare». Perché, diversamente, le ricadute giuridiche possono essere pesanti. Chiarezza, coerenza e veridicità, invece, possono mettere al riparo dai pericoli.
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia