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Il digitale nello studio odontoiatrico sta dando grandi possibilità sia sul fronte delle protesi, sia su quello chirurgico. Gli strumenti, dunque, vanno conosciuti e usati, dopo averne fatto la giusta pratica. Questo il messaggio lanciato da Andrea Zornetta, coordinatore della Commissione Giovani dell’OMCeO veneziano, durante il convegno Il paziente digitale nello studio dentistico, organizzato sabato scorso, 17 maggio 2025, nella sede dell’Ordine.
Una mattinata di studi dedicata solo agli odontoiatri per passare in rassegna le novità tecnologiche – dallo scanner intraorale a quello facciale, dai software per la registrazione dei movimenti mandibolari – con i loro pro e i loro contro, le loro criticità e i loro vantaggi grazie alle relazioni degli esperti Luca Donolato e Diego Longhin, il primo segretario della Commissione Albo Odontoiatri veneziana, il secondo dentista di fama internazionale, accolti – assente la guida della CAO lagunare Giuliano Nicolin per impegni istituzionali a Roma – dal presidente e vice nazionale Giovanni Leoni.
«Questo è un argomento – ha sottolineato il dottor Leoni ricordando il breve periodo di tempo nella sua carriera professionale in cui ha fatto anche il dentista – di grande attualità. L’odontoiatra ha avuto un’enorme evoluzione dal punto di vista tecnologico, proprio come tipo di strumenti: dovete stare sempre al passo con i tempi perché la concorrenza è forte nel vostro settore e chi ha un’attività singola o poco associata deve scontrarsi con studi che hanno possibilità finanziarie importanti. Oggi abbiamo una grande opportunità per capire sotto il profilo tecnico questa rivoluzione della vostra disciplina».

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Da parte dei relatori una premessa doverosa prima dell’avvio dei lavoro: «Nessun interesse commerciale in quello che mostriamo – hanno detto – solo tanti esempi di cosa si può fare quotidianamente con semplicità una volta che si è presa la mano».
A declinare per primo le innovazioni tecnologiche, a partire da quella sulla bocca di tutti, cioè l’intelligenza artificiale, il dottor Donolato che ha lanciato una provocazione: l’IA esiste, ma è un sistema che impara attraverso modelli statistici. «Questo – ha detto – aiuta molto il nostro lavoro, perché ci semplifica le procedure, ma non fa tutto da solo. L’IA ci aiuta, ci aiuta tanto, ma c’è bisogno di controllo. E il controllo siamo sempre noi».
Procedure molto più semplici, più veloci e più economiche uno dei vantaggi più importanti del primo strumento analizzato, lo scanner intraorale, che deve ormai entrare in dotazione nello studio dentistico. «Uno scanner veloce – ha detto il relatore – ti permette in un paio di minuti di fare sopra e sotto masticazione, la scansione della bocca. E risparmi tempo».
Ma, al di là della velocità di scansione, come sceglierlo? Lo scanner intraorale dovrà essere delle dimensioni giuste per riuscire a impugnarlo facilmente, con un puntale piccolo per entrare nella bocca del paziente senza provocare fastidi o il riflesso del vomito e per arrivare ai punti distali più difficili, meglio se collegato con filo, dato che il wireless dopo qualche scansione tende a scaricarsi, e con un buon programma di assistenza «perché quando cominci ad usarlo – ha spiegato il dottor Donolato – se poi viene a mancare è di sicuro un problema».
Dopo averne spiegato il funzionamento – con un fascio luminoso che viene proiettato sulla superficie, rilevato poi da una telecamera che restituisce una nuvola di punti e un software che li analizza “disegnando” l’arcata – il dottor Donolato ha approfondito:

  • le diverse tecniche di uso, indicando quella più precisa;
  • i fattori da tenere a mente per una scansione la più accurata possibile, «una testa ingombrante e l’apertura piccola del paziente rendono difficile l’operazione»;
  • la necessità di calibrare periodicamente lo scanner, ma il software in questo aiuta;
  • il conoscere la distanza di scansione, cioè il range entro il quale lo specchio riesce a rilevare la superficie;
  • il conoscere i fattori ambientali, come ad esempio la luminosità, a cui è esposto il manipolo che cambiano la qualità della scansione;
  • la difficoltà di fare una scansione di lettura sullo stesso punto, che a volte dà sovrapposizioni e letture poco accurate.

«E infine – ha aggiunto – ci sono i fattori che dipendono dal paziente: la forma dei denti, la presenza o meno di spazi interdentali, la profondità del palato, l’ampiezza dell’arco, la presenza di saliva o di sanguinamento, di restauri precedenti o di impianti… Perché, essendo una rilevazione ottica, se c’è l'acqua fa specchio, se c’è sangue assorbe la rilevazione luminosa e non si riesce a leggere la la superficie. Quindi: sì la scansione è molto semplice e molto comoda, ma bisogna conoscere lo strumento che si ha in mano».
Tra gli altri argomenti declinati dal dottor Donolato – anche attraverso tanti esempi di veri casi clinici passati per il suo studio – la scansione degli impianti attraverso gli scanbody, la protesi mobile stampata, le differenze tra fare un’impronta con la pasta e una con il manipolo ottico, la possibilità di creare bite ad hoc nel proprio studio – «la prima cosa che ho cominciato a fare...» ha detto – e l’utilizzo dello scanner facciale «che è appena entrato nel nostro panorama – ha spiegato il dottor Donolato – e ci permette di registrare tante informazioni, il volto del paziente a bocca chiusa, a bocca aperta, col sorriso, per vedere l’esposizione di denti anteriori, o i movimenti mandibolari. Con questi sistemi più dati registri, più dati riesci a passare al tecnico, migliore sarà la modellazione, migliore il posizionamento. È un sistema ancora in fase precoce, ma sicuramente il futuro sarà questo».

Ancora molto scarsa la letteratura sulla registrazione dei movimenti mandibolari, cuore della relazione del dottor Diego Longhin, che è partito dalla relazione centrica e dalle sue evidenti difficoltà, persino di definizione, per analizzare poi la possibilità di prendere i movimenti articolari senza manipolazione, cioè senza toccare il paziente.
Ma così che cosa il dentista registra in bocca? «Una posizione statica – ha risposto il relatore – che il tecnico replica sull’articolatore. Io ci ho passato anni a usare l’assiografo e l’unica cosa che ho capito è che un condilo è diverso dall’altro sempre, in tutte le persone. Perché? Perché non siamo simmetrici, non siamo armonici».
Il digitale, però, permette di registrare ed elaborare tutte le funzioni del paziente, evidenziando ad esempio i problemi di masticazione, di creare addirittura apparecchi, chiamati rebalance, per risolvere tanti problemi disfunzionali, di vedere se il condilo è in posizione corretta o no, di esaminare davvero i punti di contatto e capire se si trasformano in area di contatto, di registrare la comfort position, cioè la posizione di riposo tra le varie funzioni «così – ha sottolineato il dottor Longhin – posso veramente capire dove devo posizionare e eventualmente ridimensionare la posizione mandibolare». Una tecnica che, assicura l’esperto – da sempre più votato all’analogico che al digitale – da un punto di vista clinico, non è affatto complicata.
Tra i consigli arrivati dal relatore, quello di prendere non una sola comfort position, ma ben tre, «per vedere se almeno due sono corrispondenti» e prendere i movimenti mandibolari mentre il paziente digrigna i denti, mentre mastica a bocca vuota e mentre mastica un pezzo di mela.
Dal dottor Longhin, poi, anche una lunga carrellata di pazienti con problemi non solo disfunzionali, tra cui una sedicenne brasiliana rimasta senza denti davanti a causa di un trauma in faccia e che chiedeva impianti, su cui ha usato i macchinari per registrare i movimenti mandibolari e trovare le soluzioni più giuste. Soluzioni che corrispondono a facce e persone, che ora stanno bene. «Anche perché – ha concluso l’esperto – il sistema non è irreversibile. Se non funziona, posso rifarlo sempre sulla funzione del paziente, posso modificarlo, posso fare tutto ciò che voglio. Certo: bisogna fare esperienza, prenderci un po’ la mano. Anch’io all’inizio sbagliavo le posizioni… Una volta, però, che hai preso dimestichezza ci impieghi un quarto d’ora. Io lo uso da un anno e mezzo e dopo 6-7 mesi ero già pienamente operativo».

Sistemi che hanno orizzonti infiniti, tecnologie che sono sì un po’ costose, ma per cui si rientra in fretta dall’investimento, innovazioni che hanno bisogno di tanta formazione ad hoc non solo per gli odontoiatri ma anche per il personale dello studio. «Oggi – hanno concluso Donolato e Longhin – sarebbe poco intelligente non sfruttare queste possibilità che diventano estremamente meno invasive sul paziente con risultati meravigliosi.Il digitale, però, non è il futuro. È già il presente: possiamo farci un’auto violenza dicendo no, lascia stare, oppure possiamo combinarlo con l’analogico».
La tecnologia, insomma, non deve spaventare, ma dall’altro lato non bisogna neanche spegnere il cervello. Perché il digitale aiuta tantissimo nello studio odontoiatrico. Basta conoscerlo.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia